“Negare i cambiamenti climatici è negazionismo scientifico”, sono un fisico dell’atmosfera e vi spiego tutto quello che sta accadendo

Se aumenta la CO2 a livello globale aumenta inevitabilmente anche la temperatura terrestre, c’è poco da girarci intorno. Che il riscaldamento globale sia in modo univoco legato all’aumento delle emissioni di gas climalteranti lo dicono le leggi della fisica

Ebollizione e non più riscaldamento, a dimostrazione del fatto che le cose stanno precipitando e serve necessariamente muoversi. Nelle scorse ore il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha parlato chiaro e tondo, di fronte alla preoccupante inazione che potrebbe portarci definitivamente al collasso.

Questo mese di luglio è stato infatti già dichiarato dalle Nazioni Unite come il più caldo mai registrato: i dati raccolti dall’Organizzazione meteorologica mondiale dall’osservatorio europeo dell’agenzia Ue Copernicus sono già sufficienti per affermarlo.

Cosa sta succedendo? In molti si interrogano sul perché, per esempio, mentre il Sud è in fiamme, il Nord è sotto la morsa di alluvioni e grandine dalle dimensioni eccezionali. E come mai, dopo tre settimane di caldo estremo, ora si ricominci a respirare.

Abbiamo scambiato due chiacchiere con il Professore Paolo Di Girolamo, Fisico dell’atmosfera Università della Basilicata e Membro Comitato Scientifico SIMA ed esperto in cambiamenti climatici.

Dopo almeno due settimane roventi in Italia, ora si annuncia lo stop al grande caldo. Come si spiegano questi cambiamenti così bruschi delle temperature?

Partiamo da un dato fondamentale: i cambiamenti del clima si manifestano anche con importanti variazioni della circolazione atmosferica su scala globale. Ciò è particolarmente vero nel bacino del Mediterraneo, perché l’anticiclone africano di cui spesso sentiamo parlare è un anticiclone che tende – nei periodi molto caldi – a spostarsi alle nostre latitudini.

Questo, però, ha delle fluttuazioni: nei giorni scorsi l’anticiclone africano era nell’area mediterranea, adesso è arretrato di qualche centinaio di chilometri, ragione per cui ci troviamo sotto un suo minore effetto. Nel contempo, siamo anche ‘in balia’ di regioni di bassa pressione e zone cicloniche collocate sulle aree più settentrionali del nostro Continente. Questa è la motivazione fondamentale per cui ci sono sbalzi così bruschi: nell’aumento generalizzato delle temperature legato al cambiamento climatico, la ripercussione a livello meteorologico ha una sua variabilità e una sua contestualità. In questo momento stiamo assistendo a un arretramento dell’anticiclone africano e a un abbassamento delle temperature.

Rimangono in ogni caso indicatori molto allarmanti, come la temperatura delle acque del Mediterraneo, in questo momento superiori alla norma con il conseguente rischio di generare trombe d’aria. La temperatura superficiale marina di soglia per un fenomeno quale la tromba d’aria è di 26-28 ° C, adesso siamo a 30-32° C…

Ecco, soffermiamoci un attimo sui termini: è corretto parlare di “trombe d’aria”?

È un po’ come ‘bombe d’acqua’: poco scientifico e molto efficace a livello comunicativo. In realtà questi che si verificano sono dei mini tornados, abbastanza piccoli e meno marcati rispetto a quelli che solitamente si verificano sulla costa atlantica.

Cosa ci aspetta per il mese di agosto?

Fare previsioni meteo è difficile ed è totalmente velleitario cercare di prolungarle anche solo di una settimana. Ci sono delle previsioni che si possono certo fare, soprattutto sugli andamenti della temperatura superficiale, e gli scenari per il mese di agosto non sono particolarmente incoraggianti. Continueremo ad avere temperature medie al di sopra dei valori tipici stagionali.

Il clima si riverbera sul meteo spesso in modi contrastanti, per cui poter fare previsioni più a lungo termine diventa un esercizio di stile con poca fondatezza scientifica.

I negazionisti del cambiamento climatico dicono che in sostanza il cambiamento del clima c’è sempre stato, non può non esserci, perché dipenderebbe non solo dalle attività di origine antropica ma anche e soprattutto dai naturali componenti dell’atmosfera. Fino a che punto è vero? Ci spieghi meglio

Io non so chi lasci parlare i negazionisti. Io lascio parlare la fisica, disciplina governata da equazioni ben definite e non negoziabili da nessuno. Quando qualcuno nega i fondamenti scientifici dei cambiamenti climatici fa un’operazione di negazionismo scientifico.

Che il riscaldamento globale sia in modo univoco legato all’aumento delle emissioni di gas climalteranti lo dicono le leggi della fisica: l’aumento della temperatura superficiale terrestre è legato in modo univoco allo spessore ottico e quindi alla concentrazione dell’anidride carbonica attraverso un’equazione non lineare molto semplice (l’equazione di Stefan-Boltzmann). Se aumenta la CO2 a livello globale (la media nel 2022 era 417 parti per milione e sono, di fatto, 140 parti per milione in più rispetto al periodo preindustriale), ciò si traduce inevitabilmente in un aumento della temperatura terrestre. Poi è chiaro che le ripercussioni sono più o meno evidenti a seconda della zona, ma il fatto che l’aumento di anidride carbonica in atmosfera determini un aumento della temperatura superficiale terrestre è – ribadisco – governato da una ben definita legge della fisica.

Peraltro è inequivocabile che i cambiamenti climatici ci siano sempre stati, ma è sicuramente vero che – sulla base per esempio di tutti i carotaggi che facciamo in Antartide o in Groenlandia – valori così alti della CO2 non li abbiamo mai osservati.

Dunque, si può dire che il singolo evento meteorologico sia già legato al cambiamento climatico?

No, anche questa affermazione è sbagliata. Si può ricondurre al cambiamento climatico la ‘tendenza’ all’aumento di frequenza ed intensità dei fenomeni meteorologici estremi, ma non già il singolo episodio meteoclimatico. Il riscaldamento globale si accompagna con un forte aumento dell’energia termica e latente accumulata nell’aria. Questa energia è potenzialmente disponibile a generare fenomeni meteo importanti e devastanti. Per fortuna, in gran parte del nostro Paese questo non succede, perché la presenza di vapore acqueo in atmosfera non è l’unico elemento necessario: per un evento ‘devastante’ concorrono anche l’instabilità dell’aria (quello che si sta verificando al Nord, dove ci sono penetrazioni negli strati più alti dell’atmosfera di lamine di aria fredda proveniente dalle regioni del Nord Europa) e anche di un fenomeno di ‘innesco’. Il più frequente è lo scorrimento di aria calda su quella più fredda e quindi un movimento ascensionale che fa sì che queste particelle d’aria, una volta messe in movimento in una regione instabile, vadano incontro a tutti quei fenomeni di accrescimento all’ intero delle nuvole che determinano precipitazioni così estreme come le stiamo osservando.

Nei giorni scorsi l’Italia è stata oggetto di un nuovo record nel diametro di un chicco di grandine: 19 centimetri non erano mai stati misurati in Europa.

Nei giorni scorsi si è anche parlato di tropicalizzazione, è proprio questo?

La tropicalizzazione è in generale l’osservazione alle nostre latitudini di fenomeni meteorologici che prima erano caratteristici della fascia intertropicale. Se gli eventi meteorologici estremi ci sono sempre stati, è la frequenza e l’intensità di questi fenomeni che aumenta con l’aumentare della temperatura superficiale terrestre, della temperatura dell’atmosfera e quindi dell’energia potenziale disponibile in aria. In questo momento le ondate di calore sono molto più frequenti, molto più lunghe e poi quando si esauriscono lo fanno in fenomeni meteorologici molto più violenti.

Cosa manca alla gestione del rischio meteorologico in Italia?

Il rischio meteorologico in Italia è gestito bene, forse meglio che in altri Paesi. Siamo riusciti ad avere in tempi recenti un composit radar che in passato non avevamo anche per questioni strutturali (il nostro è un Paese con tante montagne). I fenomeni meteo estremi sono di difficile prevedibilità, cioè prevedere esattamente con margini sufficienti di anticipo l’intensità e la localizzazione è complicato. Quello che si fa solitamente è il nowcasting, ossia i radar seguono le cellule temporalesche prima che queste arrivino. Rimangono in ogni caso fenomeni difficili da prevedere.

È chiaro che, non solo in Italia ma ovunque al mondo, manca una rete di strumenti che possano misurare in modo efficace e con elevate risoluzioni spazio-temporali quelli che sono i parametri fondamentali, come la stabilità dell’aria o il contenuto di umidità, misure che al momento sono delegate alle radiosonde che vengono lanciate dalle tutte le stazioni a livello mondiale. Ma sono circa 2000 su tutta la Terra, coprono soprattutto l’emisfero nord e fanno solo 2 o 4 lanci al giorno.

Da tanti anni la mia ricerca scientifica si focalizza sullo sviluppo dei cosiddetti radar ottici, strumenti che si avvalgono di sorgenti laser con i quali vengono misurate in maniera molto efficace l’umidità e la temperatura atmosferica. In questo momento abbiamo uno strumento in Camargue nell’ambito di un progetto voluto da Meteo France per cercare di migliorare le previsioni dei fenomeni di precipitazione più intensi, che si verificano principalmente in estate e in autunno nel bacino del Mediterraneo. Al progetto partecipano diversi Paesi europei, contribuiendo alla creazione di una rete di radar ottici localizzata nel sud della Francia, dove ci sono fenomeni analoghi ai nostri.

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