Intervista a Francesco Gambella, pluricampione mondiale di Kayak, uno degli sport più ecologici in assoluto, impegnato a fianco di Amref ed Emergency in opere a favore dei paesi più poveri
Da neonato è stato colpito da ben due arresti cardiaci ma questo non gli ha impedito di diventare pluricampione mondiale di kayak, spesso impegnato anche come testimonial di azioni umanitarie per raccogliere donazioni per i paesi più poveri al fianco di associazioni quali Amref (l’organizzazione no profit che gestisce progetti solidali di sviluppo in Africa) ed Emergency (la ONG di Gino Strada). Quella di Francesco Gambella è una storia straordinaria fatta di coraggio e voglia di non arrendersi.
Con la sola forza delle sue braccia ha solcato, infatti, oceani e mari stabilendo numerosi record al limite del possibile come il giro d’Italia in kayak, la traversata Cancun-Havana, fra onde oceaniche e squali, il maggior numero di ore trascorse in mare in kayak. L’abbiamo incontrato per raccontarvi la sua storia e, da vero esponente dello sport ecologico quale è – visto che nel farlo non utilizza nessun motore se non quello delle sue braccia! -, farci raccontare quali sono i suoi piccoli gesti quotidiani per dare una mano al Pianeta a stare meglio.
Francesco, com’è nato il tuo amore per questo sport?
Avevo 12 anni ed ero al mare ad Anzio. Il mio vicino di casa aveva una canoa e rimasi subito affascinato da questa imbarcazione che veniva mossa con la sola forza delle braccia. Fu amore a prima vista!
Cosa ti dà questo sport?
Moltissimo! Se attraverso un periodo no mi basta uscire in mare e tutto passa. E poi mi dà adrenalina pura, un senso di libertà assoluto, mi fa vivere il mare in totale simbiosi e in modo molto ecologico. Provare per credere!
Tu da bambino hai avuto problemi fisici che avrebbero potuto scoraggiare chiunque nel cimentarsi in uno sport così faticoso. Il tuo è un messaggio di speranza per molte persone che magari credono di non potercela fare a realizzare certi sogni…
Ho creduto nei miei sogni, ho lottato e lavorato duro per realizzarli. Se credi in ciò che fai non c’è niente che possa fermarti. Ma soprattutto penso che ognuno di noi abbia la chiave per aprire il cassetto dei propri sogni e una volta aperto stai pur tranquillo che si realizzano!
Oltre al tuo sport, altamente ecologico, cosa fai nel tuo piccolo, nella tua vita di tutti i giorni per dare una mano al Pianeta?
Beh, inizio col fare la raccolta differenziata e limitare al massimo ogni tipo di spreco a partire dall’uso parsimonioso dell’acqua quando faccio la doccia o mi lavo i denti, per non parlare poi in estate, vivendo in Sardegna, delle arrabbiature che mi prendo quando mi tocca constatare l’ignoranza di alcuni turisti che lasciano cicche spente in spiaggia o buttano rifiuti a mare o nella macchia mediterranea! In qualche caso ho rischiato di venire addirittura alle mani, ma il mio essere convinto pacifista mi ha fatto desistere! Diciamo che in capitaneria di porto e al comando dei vigili urbani di Olbia mi conoscono per le telefonate che gli faccio per denunciare casi di non rispetto dell’ambiente. Penso che in Italia si debba fare ancora moltissimo in questo ambito e lo capisco quando sono in mare. Quando ho fatto il giro d’Italia in canoa il numero di buste di spazzatura che ho visto è impressionante per non parlare delle foci dei fiumi da cui arriva gran parte dell’inquinamento marino
Tu ti dai da fare anche per i disabili. Raccontami per esempio l’esperienza “Oltre ogni barriera”.
È un progetto nato con lo scopo di far vivere il mare su di una canoa a tanti ragazzi disabili intellettivi e fisici, tutti insieme nella stessa imbarcazione. Un modo per abbattere non solo le barriere architettoniche ma anche quelle mentali di moltissima gente che pensa che un disabile non possa praticare sport, lavorare, o fare altre cose che invece se gli si dà la possibilità può tranquillamente fare.
Quando hai capito che le tue imprese avrebbero potuto aiutare chi ha bisogno?
Tutto è iniziato nel ’94 dopo la traversata in kayak Olbia-Ostia. Avevo vent’anni e al mio arrivo trovai moltissima gente che mi aspettava. Pensai subito che avrei potuto coinvolgere tutte quelle persone per realizzare progetti in Africa. La canoa quindi come mezzo per far parlare di temi importanti e sensibilizzare a certi temi. E da lì ho studiato record e avventure tutte rivolte alla raccolta fondi per andare a garantire sanità gratuita e di qualità laddove non c’è e dare al maggior numero di persone possibile la stessa possibilità che ho avuto io all’età di sei mesi, quando cioè ho subito l’operazione al cuore che mi ha salvato la vita.
L’immagine, il ricordo più bello che ti è rimasto in tutti questi anni di impegno per gli altri.
Sicuramente gli sguardi e i grazie delle persone che ogni anno incontro in Africa. L’anno prima vedi un ragazzino con un barattolo di colla da sniffare buttato nelle discariche di Nairobi e l’anno dopo ci giochi a pallone nel centro di Amref. È una sensazione fantastica, mi vengono i brividi anche ora che te lo sto raccontando.
Mi pare di capire che hai un rapporto bellissimo con l’Africa. Cosa ami di più di questo Continente?
Amo sicuramente i suoi paesaggi mozzafiato ma soprattutto amo il popolo africano, gente che affronta la vita con grandissima dignità, persone che hanno un altissimo senso della famiglia e che hanno sempre un sorriso da regalarti. Gente davvero straordinaria!
L’immagine, la situazione invece più difficile da affrontare, quella che più ti ha toccato e che pensi non ti lascerà mai più nella tua vita?
L’immagine dei tantissimi ragazzini, oltre 150mila, che vivono nelle baraccopoli e nelle discariche di Nairobi, figli abbandonati al loro destino che vagano con una bottiglietta di colla per non sentire i crampi della fame e del freddo, bambini che escono dall’immondizia, si avvicinano, ti prendono per mano e ti sussurrano in un inglese storpiato “portami via con te”. Questa scena vissuta nel mio ultimo viaggio laggiù la porterò sempre con me. Come potrei dimenticarla!
Perché secondo te il mondo ancora oggi fa finta di non vedere tante situazioni che con un po’ di buona volontà potrebbero essere invece risolte?
Perché non c’è interesse a risolvere i problemi del Terzo mondo! Ai potenti della Terra non interessa se noi con tre pillole curiamo una malattia che invece in Africa uccide. È per questo che nel mio piccolo laddove il mondo chiude gli occhi io allargo le mie braccia!
Secondo te lo sport può aiutare a far venir su persone migliori?
Assolutamente si. Lo sport è il punto di unione fra i popoli! E attraverso lo sport diventi un uomo migliore perché lo sportivo è abituato a crearsi un obiettivo sano che cerca in tutti i modi di realizzare.
Qual è stata la tua impresa in assoluto più difficile?
Sicuramente la traversata dal Messico a Cuba nel 2000 e il giro d’Italia in kayak da Savona a Venezia in 64 giorni.
Quella in cui hai avuto più paura?
La Messico-Cuba. Non ero più nel mar Tirreno ma nell’oceano fra onde altissime popolate dallo squalo bianco.
So che l’anno prossimo ti attende una sfida a cui tieni moltissimo…
A maggio il giro del Lago Vittoria, 1200 km in un mese fra Kenya, Uganda e Tanzania col campione olimpico Daniele Scarpa e un ragazzo di Mombasa. I fondi raccolti finanzieranno un progetto idrico di Amref. E a questo proposito chiedo a tutti i lettori di finanziare i progetti di Amref attraverso donazioni sul c/c postale 35023001 intestato a Amref Italia Onlus o tramite bonifico bancario (codice IBAN IT19 H01030 03202000001007932) oppure con carta di credito online sul sito www.amref.it
Vincenzo Petraglia