Domenico Finiguerra, il sindaco che non consuma il territorio. Intervista al Personaggio Ambiente 2011

Da sindaco di Cassinetta di Lugagnano, un comune di 1800 abitanti, è diventato Personaggio Ambiente del 2011, conducendo battaglie sul consumo del suolo che pochi amministratori avrebbero avuto il coraggio di portare avanti. Molti altri, ora, stanno seguendo il suo esempio. Anche noi di greenMe.it, non abbiamo resistito alla tentazione di porre a Domenico Finiguerra qualche domanda.

Il cellulare di Domenico Finiguerra brucia in questi giorni. Lo chiamano per congratularsi, per intervistarlo, per invitarlo a parlare della sua esperienza. Da sindaco di Cassinetta di Lugagnano, un comune di 1800 abitanti, è diventato , conducendo battaglie sul che pochi amministratori avrebbero avuto il coraggio di portare avanti. Molti altri, ora, stanno seguendo il suo esempio. Anche noi di greenMe.it, non abbiamo resistito alla tentazione di porre a Domenico Finiguerra qualche domanda.

Nel suo blog ha detto di voler condividere il premio con tutte le realtà che nel nostro Paese cercano di difendere il nostro patrimonio. Come si sente a essere riconosciuto portavoce di tutte queste associazioni?

Indubbiamente, mi fa sentire una grande responsabilità addosso. Vengo spesso chiamato a partecipare a battaglie locali e vivo tutto questo come una cosa molto bella: chiamano me anche perché spesso chi cerca di difendere il proprio territorio è sbeffeggiato dalle istituzioni attorno. Il Forum Salviamo il Paesaggio e il Movimento “Stop al Consumo del territorio” hanno però evidenziato la presenza di un pensiero condiviso. Di tutti coloro che ne fanno parte, io spesso mi trovo a essere sotto i riflettori ma ho cominciato a trovare in questo un bel modo di fare politica.

Quando lei ha dato il primo No al consumo del suolo nel suo comune era il 2009. Fu visto come un alieno. Ora le cose stanno cambiando. Si sente più a suo agio?

Per Cassinetta di Lugagnano, allora, si trattò di fare una scelta di tipo locale, guidata anche da un certo istinto che ci voleva far sentire di avere un approccio differente al suolo rispetto a quanto non succedesse nel contesto milanese. I comuni vicini non capivano. Eravamo etichettati come ambientalisti. La svolta è avvenuta successivamente: quando abbiamo organizzato la mobilitazione contro la legge regionale definita “ammazza parchi” e con l’apertura del blog.

Per quanto riguarda la prima, ci siamo trovati centinaia di persone che con noi si presentarono davanti al Pirellone per protestare. Ottenemmo che la legge fosse ritirata. Per quanto riguarda la seconda, la decisione di aprire un dialogo su web è nata in concomitanza con l’accumularsi di richieste di partecipazione a convegni e movimenti locali. Volendo dare risposte a tutti, decisi di aprire una mia pagina web che ha trovato un suo assiduo pubblico. La popolarità di Luca Mercalli su Rai3 ha poi dato voce a quello che fino a quel momento era una questione di nicchia.

Negli ultimi 4 anni ho fatto 300 incontri in tutta Italia: ciò che mi fa più piacere è percepire la chiara sensazione che il nostro atteggiamento, di chi alza paletti contro il consumo dissennato di suolo, non è affatto estremista. Al contrario vorremmo che cominci a essere percepito estremo l’atteggiamento di chi non si vuole accorgere di certe verità che sono ormai sotto gli occhi di tutti.

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Si cominciano a diffondere Piani di Controllo del Territorio a livello comunale e provinciale. Forse ne servirebbe uno nazionale. È d’accordo?

Certo. Dovrebbe esserci una moratoria nazionale come accade in Germania o in Francia. Se il consumo di suolo fosse considerato un’emergenza nazionale si potrebbero trovare dei sistemi di compensazione degli oneri di urbanizzazione per i comuni, per esempio, che permetterebbero di non usare il suolo pubblico come ultimo strumento di contrattazione. Per questo, uno degli obiettivi del Forum è proprio quello di portare una legge in Parlamento che almeno ponga il problema. Vedere i deputati parlare di questi argomenti sarebbe il mio sogno.

Uno degli output del Forum Salviamo il Paesaggio è la realizzazione di un Censimento in tutti i comuni d’Italia. Partendo dal fatto che fino a ora non è stato possibile farlo. Come pensate di riuscirci?

Con lo strumento della mobilità pubblica. E rendendo impopolare l’atteggiamento di tutti coloro che usano il territorio in maniera irresponsabile. Così come tutti ormai si professano difensori dell’aria o dell’acqua, così dovrà essere fatto con il suolo. Per raggiungere questo scopo dobbiamo mettere gli amministratori di fronte al fatto compiuto: il suolo non è una risorsa illimitata, l’abbiamo già consumata troppo, è inutile costruire senza una domanda a supporto dell’offerta. Chi avrebbe mai immaginato un uomo che pur avendo una casa se ne costruisce un’altra lasciando la prima vuota e abbandonata: eppure è quello che stiamo facendo. Ci serve il senso dell’economia delle cose.

Si parla del fatto di non sprecare cibo, di non sprecare l’acqua. Ma non si parla di non sprecare territorio eppure è una risorsa finita anche quella. Come mai secondo lei?

È dovuto al basso valore che viene riconosciuto alla terra in sé. A un pezzo di terreno ormai si aggiudica solo un valore monetario calcolato in funzione dei servizi che lì si andranno a installarsi o al consenso determinato dalla sua vendita. Il PIL è positivo sia se il capannone costruito lì dove c’era un campo è utilizzato, sia se è abbandonato: questo significa non dare alla terra il suo valore reale, calcolato sulle effettive opportunità di crescita che da essa possono venire. Il luogo comune vuole che solo se ci edifico sopra, quell’appezzamento di terreno sarà per me fonte di ricchezza, mentre non è così.

Sono usciti di recente i dati pubblicati da FAI e WWF sui livelli inquietanti di consumo del suolo nel nostro paese. Pensa che usare un po’ di allarmismo sia un buon modo per sensibilizzare la gente?

È necessario far emergere l’allarme, nella misura in cui, ovviamente, sia fondato su dati scientifici. Questo è l’unico modo per tenere botta a tutti gli scettici che vorrebbero negare il problema. Personalmente però penso che l’arma migliore sia un mix tra pessimismo e ottimismo: coniugare la denuncia con forme più leggere di comunicazione che facciano sorgere il dubbio. Per me, parlare a Striscia la Notizia, o portare in giro uno spettacolo come “Un nuovo mondo è possibile” con Luca Bassanese sono strumenti per entrare in contatto con un pubblico diverso, che magari non ha mai sentito parlare prima di cambiamento climatico.

Nazioni come Francia e Germania hanno estrema cura del proprio territorio. L’Italia ha uno dei patrimoni naturali più belli del mondo e lo divora. Come mai?

Sicuramente, complice di questo meccanismo è la sciatteria della classe politica che, di fronte al degrado di certe bellezze, non ha saputo o voluto intervenire. In secondo luogo, il fatto che noi Italiani non consideriamo il patrimonio come una fonte di reddito. Per noi il turismo si è velocemente trasformato in guadagno immediato per il turista mordi e fuggi, magari da ingannare con scontrini più alti, ma certo non da accogliere affinché torni l’anno successivo. Dell’avidità parlava già Pasolini e penso che sia uno dei problemi che ancora oggi ci contraddistingue. Di fronte a questo, la politica non ha posto freni, al contrario ci si è immersa a piene mani facendo buon viso a cattivo gioco.

Di contro so e mi piace rivedere ogni volta di fronte a me tutti quegli italiani che al patrimonio ci credono e lo vorrebbero protetto, curato e diverso.

Alcuni amministratori dicono che la politica non può permettersi di dire “no”, al massimo può decidere di assumere in sé una tendenza. Quali sono gli step che l’amministrazione potrebbe cominciare a mettere in atto?

Se tornare indietro è ormai difficile, si potrebbero cominciare a dire dei piccoli no, mettere dei paletti e decidere di gestire il pregresso, ciò che c’è già, oppure iniziare a dichiarare la non possibilità di trasformare un terreno agricolo in edificabile.

Un altro punto potrebbe essere quello di ridefinire il concetto di utilità pubblica: quando si espropria per fare un’autostrada è a quel diritto che ci si appella. Se decidessimo che la sovranità alimentare è la priorità, allora probabilmente si potrebbe identificare la terra come un’utilità pubblica da preservare.

Infine si potrebbe cominciare a pianificare: riuscire a identificare le terre in cui è possibile edificare, perché rocciose o non fertili rispetto a quelle di classe più alta e quindi dense di ricchezza produttiva.

Pamela Pelatelli

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