“Vivere meglio, vivere vicino”, il ricercatore Matteo Bruno ci porta nella realtà delle città di 15 minuti

Uno studio condotto dal Sony Computer Science Laboratories di Roma ha analizzato oltre 10.000 città, tra cui 50 italiane, per capire quali garantiscono servizi raggiungibili a 15 minuti a piedi. Matteo Bruno ha spiegato ai microfoni di GreenMe i benefici economici e ambientali delle città dei 15 minuti

Immagina di poter raggiungere, nella città in cui vivi, tutto ciò che ti serve – il panettiere, la scuola, il parco, persino il cinema o la palestra – in un quarto d’ora a piedi o in bici. Sembra un sogno, vero? Eppure non lo è. Si tratta, piuttosto, del concetto di “città a 15 minuti“, inventato da Carlos Moreno, un urbanista colombiano-francese.  Ma è una soluzione possibile per tutti i cittadini?

A questo quesito ha cercato di rispondere un team di scienziati, guidato dal ricercatore Matteo Bruno del Sony Computer Science Laboratories di Roma e composto da Bruno Campanelli, Vittorio Loreto e Hygor Piaget Monteiro Melo, pubblicando sulla rivista Nature Cities uno studio che ha analizzato oltre 10.000 città, incluse 50 città italiane.

Tra queste ultime, Milano, Torino, Livorno, Genova, Bologna e Firenze sono le uniche a garantire servizi a 15 minuti (a piedi) per almeno il 90% della popolazione. A Roma, invece, il 71% della popolazione vive in un’area “15 minuti”. E a Napoli il 60%.

Il risultato del lavoro dei ricercatori è una mappa interattiva, accessibile tramite il portale 15min-City, che permette di visualizzare l’accessibilità di tutte le città coinvolte nello studio.

Ai microfoni di GreenMe, Matteo Bruno ha raccontato i dettagli di questo importante studio.

Quali sono i benefici delle “città di 15 minuti”?

Sicuramente economici: concentrare attività e popolazione rende tutto più efficiente e apre a possibilità di sostenere più servizi (e trasporti) pubblici a costi minori. Inoltre le disuguaglianze di accesso alle opportunità diminuiscono, riducendo l’isolamento delle periferie. Anche benefici legati alla sostenibilità: abbiamo anche studiato e stiamo pubblicando un lavoro su quanto i servizi di prossimità riducano le emissioni legate ai trasporti. E’ ragionevole: se non devo prendere la macchina per andare da qualsiasi parte, inquino meno. Migliora anche la socialità, vivendo in aree più dense e pedonali si possono creare molte più opportunità di conoscere chi ti abita vicino e aprire spazi sociali. Possibili controindicazioni sono invece legate alla riduzione di spazi verdi e ci sono discussioni legate alla segregazione sociale, anche se per me queste ultime sono infondate.

Quali sono i risultati più interessanti e inaspettati che avete raggiunto?

Credo che oltre alla quantificazione del concetto di città 15 minuti, che è un esercizio di analisi dati, la cosa più significativa sia il potenziale di una città di diventare città 15 minuti, che noi quantifichiamo con una misura innovativa basata sui servizi per abitante che la città necessiterebbe per diventare 15 minuti. Questo evidenzia quali città possano cercare di puntare a questo modello e quali non possano, per una questione di mancanza di densità urbana. La cosa per me interessante è vedere lo scetticismo degli abitanti delle città italiane quando scoprono che città come Roma non sono poi così lontane da questo modello. Il concetto di città 15 minuti è spesso comunicato male e viene interpretato come possibilità di spostarsi velocemente. Inoltre una città può essere perfettamente 15 minuti ed essere comunque invivibile per tanti altri problemi quali traffico, criminalità, segregazione sociale… Non sono concetti necessariamente correlati.

Perché avete deciso di studiare la situazione attuale delle città di 15 minuti?

Nell’urbanistica spesso manca una quantificazione che permetta di stabilire quali modelli di città siano realistici, sostenibili e realizzabili praticamente. Ci interessa aiutare da questo punto di vista e la città dei 15 minuti si presta ad essere quantificata.

Quale si comportano le città italiane in questo senso?

Molte città italiane sono vicine al concetto di città 15 minuti. Come la maggior parte delle città europee, sono antiche e una volta erano disegnate per funzionare a piedi, perciò non potevano esistere zone troppo esclusivamente residenziali. Le aree periferiche delle città italiane invece, soprattutto se costruite nella seconda metà del ‘900, sono spesso lontane dal concetto, perché sprovviste di servizi e prettamente residenziali.

Che cosa manca alle città italiane?

Le densità urbane sono in genere abbastanza alte da sostenere sia servizi di prossimità sia un trasporto pubblico adeguato. Manca invece un po’ di volontà di promuovere modelli sostenibili, passando per temporanee resistenze ai cambiamenti: sulle infrastrutture urbane e sulla mobilità siamo indietro.

Come dobbiamo trasformare i nostri centri urbani?

Bisognerebbe rivedere le infrastrutture stradali e renderle più adatte sia ai pedoni che ai mezzi pubblici e alle bici, creando corsie preferenziali serie e con uno studio complessivo di costi e benefici. E quando si costruisce un nuovo quartiere o qualche nuovo palazzo, deve essere organico e prevedere che entri a far parte di un quartiere con servizi e luoghi di interazione sociale come piazze e marciapiedi. I costruttori dovrebbero essere forzati a seguire certe linee guida, non sacrificando nemmeno i propri guadagni visto che delle case in dei quartieri vivi valgono anche di più e si vendono meglio.

Perché la città dei 15 minuti è un buon investimento?

Spesso investiamo al contrario: risparmieremmo soldi (pubblici e privati) costruendo città dense e con servizi di prossimità! Ne perdiamo invece costruendo quartieri-dormitorio. Ad ogni modo, la città dei 15 minuti è un ingrediente buono in una possibile ricetta di una città viva e sostenibile, ma non è la panacea di tutti i mali delle città.

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