Centrali nucleari in Ucraina, cosa dobbiamo davvero temere? Facciamo chiarezza

La notizia con la quale si è aperta questa nuova faticosa giornata di guerra – quella del fuoco russo sulla centrale nucleare di Zaporizhzhia – ci ha lasciati, se possibile, ancora più interdetti. Cosa comporta bombardare una centrale nucleare? In che misura è pericoloso?

Cosa succederebbe se dovesse mai esplodere la centrale nucleare di Zaporizhzhia? Intervistiamo l’ingegner Alessandro Dodaro, Direttore del Dipartimento Fusione e Tecnologie per la sicurezza Nucleare ENEA.

La centrale è tuttora operativa e fornisce il 20% del fabbisogno elettrico totale dell’Ucraina. Con ogni probabilità l’obiettivo russo era semplicemente quello di mettere la centrale fuori uso e lasciare il Paese al buio, ma lo spavento c’è stato e c’è, senza dubbio dettato anche da un primo delicatissimo approccio del ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, che ha twittato laconico invocando un cessate il fuoco:

Se dovesse esplodere [la centrale di Zaporizhazhia, ndr] sarebbe dieci volte peggio di Chernobyl.

Blackout totale e panico. È vero? Insomma l’ha detto Kuleba! Beh, posto che probabilmente ne sa poco anche lui, in questo momento è nel suo interesse che l’Europa tremi dalla paura.

centrale nucl Zaporizhzhia

La centrale nucleare a sei reattori della città di Enerhodar, nell’oblast di Zaporizhzhia. La più grande d’Europa
©Reuters

Ma se dovesse succedere?

Lo abbiamo chiesto all’ingegner Alessandro Dodaro, Direttore del Dipartimento Fusione e Tecnologie per la sicurezza Nucleare ENEA.

Queste centrali sono state pensate per resistere a un attacco militare, anche convenzionale?

Premesso che un attacco militare a una centrale nucleare è in palese violazione delle direttive ONU, la capacità delle strutture di resistere dipende dalle armi messe in campo, per cui è impossibile poter fare ipotesi in merito. Inoltre il grado di resistenza dipende dalle caratteristiche dell’edificio.

Nel caso specifico della centrale di Zaporizhzhya, tutti e 6 i suoi reattori sono del tipo VVER-1000, ovvero basati sulla tecnologia ad acqua pressurizzata: in ragione di ciò, ogni reattore è fornito di un edificio di contenimento, tipicamente progettato per resistere a sollecitazioni anche dall’esterno. Per di più, il ricorso ad acqua pressurizzata comporta che il nocciolo del reattore si trovi in un contenitore di acciaio che dovrebbe minimizzare la possibilità di danni alle persone e alle cose.

Se dovesse esplodere, “sarebbe 10 volte peggio di Chernobyl” dicono Zelensky e Kuleba. Cerchiamo di smussare un po’ se possibile l’allarmismo…

La ragione alla base di questa affermazione risiede nel fatto che l’impianto è attrezzato con 6 reattori, mentre a Chernobyl (dove pure erano installati 4 reattori), solo uno è stato coinvolto nell’incidente tristemente famoso. I 6 reattori dell’impianto di Zaporizhzhya sono tra loro indipendenti, dunque un incidente che li coinvolga tutti allo stesso tempo dovrebbe essere determinato da più cause, concomitanti.

Ciò premesso, allo stato attuale non vi sono ragioni per poter ipotizzare uno scenario incidentale su tali reattori: secondo le informazioni disponibili, il proiettile abbattuto sul sito ha colpito un edificio destinato alla formazione degli operatori. Non sono dunque stati intaccati né i 6 reattori, né le infrastrutture di supporto e di sicurezza necessarie al corretto esercizio dei reattori stessi ed alla gestione di potenziali incidenti. L’impianto, dunque, è integro, e si trova in condizioni di normale operatività, senza che sia stata compromessa alcuna delle sue funzioni.

Cosa si potrebbe verificare se ci fosse una interruzione dell’energia elettrica?

Tutti gli impianti nucleari sono dotati di sistemi di alimentazione elettrica indipendente, che garantiscano l’alimentazione dei sistemi e servizi anche in caso di interruzione dell’alimentazione esterna, dalla rete elettrica. In simili circostanze, i reattori sarebbero immediatamente arrestati, i sistemi ausiliari attivati grazie alla fonte indipendente di alimentazione, e portati al cosiddetto “arresto freddo”, che è la condizione di controllo in sicurezza per lunghi periodi di tempo.

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