E’ nell’alveo della lotta contro il cemento urbano, iniziata ormai circa quaranta anni fa in corrispondenza della nascita dei primi gruppi ambientalisti, che risalgono le prime incursioni da parte dei Guerrilla Gardener
Secondo i dati delle Nazioni Unite, dal 2009 oltre la metà della popolazione mondiale vive nelle aree urbane. E se ci atteniamo alle proiezioni statistiche, nel 2050 circa 6,3 miliardi di persone vivranno nelle città.
Insomma, a guardare le previsioni, né noi né i nostri figli avranno molte alternative: il cemento, più che la terra, sarà il materiale con cui condividere e spartire lo spazio che ci circonda quotidianamente. È nell’alveo di questa lotta, iniziata ormai circa quaranta anni fa in corrispondenza della nascita dei primi gruppi ambientalisti, che risalgono le prime incursioni da parte dei Guerrilla Gardener. Nella fervente New York degli anni ’70, l’unico modo per riportare i cittadini a sentire intimamente la loro appartenenza alla terra (più che al cemento) fu quello di organizzare “attacchi” improvvisi per dare vita a giardini, orti e mini aiuole.
Da quelle prime esperienze, hanno iniziato a diffondersi in tutto il mondo, attacchi di Guerrilla Gardening. Le prime iniziative partenopee fanno capolino solo nel 2007: ne sono protagonisti i Badili Badola, un gruppo di attivisti torinesi che insieme agli alter ego milanesi rappresentano l’avanguardia del movimento in Italia .
Andrea Marchesini, uno dei fondatori del gruppo torinese e attuale appassionato animatore, non ha proprio l’aria del guerrigliero dall’incursione facile. Anzi, ci tiene a ribadire che “ogni intervento di Badili Badola è frutto di una progettazione minuta”.
Che la storia della guerrilla fosse una parabola efficace per la mente sensibile dell’uomo comune, non vi era dubbio, ma Andrea sottolinea che fin dal nome, il gruppo torinese, aveva deciso di distaccarsi dal vocabolario “militare” per affidarsi a quello più confortante del dialetto locale.
“Badili Badola è una coppia di termini in piemontese che significa rispettivamente Badile Scemotto, una denominazione che fin dall’inizio voleva mettere in guardia sull’atteggiamento ironico e disincantato dell’operazione”.
Eppure Badili Badola non nasce da una riunione di condominio, bensì dentro il movimento che all’epoca faceva seguito a Beppe Grillo (successivamente diventato Movimento 5 Stelle). “Inizialmente l’idea di programmare un attacco di Guerrilla Gardening era stata legata all’esigenza di promuovere le attività del movimento. Nel giro di qualche settimana, l’iniziativa aveva raccolto un seguito tale da farci riflettere sull’opportunità di separare il progetto di Badili Badola dalla componente politica. Sentivamo che il gruppo aveva voglia di riconoscersi in una pratica, più che in un’attività finalizzata a raccogliere consensi”.
Era il dicembre del 2007 e un capannello di circa 20 persone si concentrò nei pressi della Stazione Dora di Torino, prima cintura periferica della città e zona fortemente degradata e abbandonata allo spaccio e alla marginalità.
“Nei giorni precedenti, l’area era stata studiata e l’intervento programmato. Arrivammo sul posto e nel corso di un paio di ore allestimmo un giardino con tanto di erbetta e primi semi infilati nella terra. Fu incredibile e fortemente inaspettata la visibilità che l’iniziativa ebbe: sembrava che qualcosa di davvero rivoluzionario fosse stato fatto. Eppure si trattava di una delle cose più naturali del mondo: avevamo semplicemente messo le mani nella terra”.
Da quel momento Badili Badola ha mantenuto uno spirito volutamente disallineato, seppure il movimento abbia raggiunto notevoli livelli di popolarità cittadina e in alcuni momenti anche nazionale (la trasmissione Report dedicò loro un intero servizio).
“Non siamo mai voluti diventare un’associazione, o affrancarci a qualche simile percorso di istituzionalizzazione. Non per ambizioni anarchiche, ma perché questo ci consente di continuare ad agire liberi, muovendoci come un polmone che si espande e si ritira a secondo delle situazioni e dei momenti. In questa fase per esempio le persone coinvolte vanno da dieci a trenta, ma l’obiettivo non è quello di avere un numero fisso e predeterminato di componenti.”
Nel tempo le esperienze si sono moltiplicate contribuendo anche a fornire una memoria storica al gruppo, nonché strategie di attacco e modalità di intervento sempre più efficaci. “Il criterio di selezione degli spazi continua a fondarsi sulla segnalazione da parte dei cittadini, da un lato, e sul livello di coinvolgimento della cittadinanza locale, dall’altro. I due parametri spesso sono correlati tra di loro: una zona caratterizzata da un alto tasso di problematicità è spesso correlata anche a una condizione di passività da parte dei cittadini, quindi la presenza di una rete di solidarietà da parte degli abitanti del quartiere è una condizione importante affinché l’intervento possa andare a buon fine. Ciò che è cambiato, nel tempo, è invece il tipo di piantumazione: siamo passati dalle aiuole di fiori a quelle con alberi da frutto, decisamente più forti, autonome e soprattutto utili. “
Ciò che è cambiato è anche l’accoglienza da parte delle istituzioni che sempre di più accettano esperienze di questo tipo: dalle scuole ai festival di cinema Badili Badola è entrato nel circuito delle attività “verdi” della città. Questo però non basta ancora se, come dice Andrea “sembra essere lontano il momento in cui le persone prenderanno coscienza del loro ruolo rispetto alla vivibilità delle città e del peso della terra nel gioco delle parti tra la propria sopravvivenza come uomini e come cittadini.”