Scoperto nuovo trattamento per il Covid-19: un farmaco già utilizzato per un disturbo al fegato è in grado di proteggerci dal virus 

Esiste un farmaco, attualmente somministrato a chi soffre di problemi al fegato, che potrebbe rivelarsi un'arma molto potente contro il Covid-19, in particolare per i soggetti più vulnerabili. A rivelarlo un recente studio apparso sul Nature

I vaccini anti-Covid attualmente in circolazione rappresentano un’arma molto utile contro la malattia ma non sono adatti a tutti, specialmente ad alcuni soggetti che hanno un sistema immunitario molto debole. Per questo gli scienziati stanno cercando altre soluzioni alternative per combattere il virus. Tra i trattamenti che più hanno sorpreso gli esperti ce n’è uno già seguito per le malattie epatiche e che è addirittura in grado di bloccare un enzima attraverso il quale il SARS-CoV-2 entra nelle nostre cellule e potrebbe proteggerci anche dalle future varianti del virus.

A presentare gli effetti di questa cura è un recente studio apparso sulla prestigiosa rivista Nature e condotta da un team di ricercatori dell’Università di Cambridge e del Berlin Institute of Health at Charité.

Il farmaco che potrebbe rappresentare la svolta è chiamato acido ursodesossicolico (UDCA), acido biliare che deriva dal metabolismo dell’acido colico da parte del microbiota intesinale umano. Nonostante ormai la sostanza – nota anche come ursodiolo (in quanto principale acido biliare negli orsi) possa essere ottenuta facilmente attraverso un processo di sintesi in laboratorio, in alcuni Paesi asiatici, viene ricavata in maniera brutale dagli orsi nelle cosiddette “fattorie della bile”, come mostrato da numerose inchieste condotte dagli attivisti per gli animali.

Come agisce l’ursodiolo bloccando la “porta” al Covid-19

In realtà la ricerca era già stato avviata nel 2020, ma soltanto adesso sono stati presentati i risultati. Dallo studio è emerso che l’acido ursodesossicolico (UDCA), un farmaco senza brevetto usato per trattare una forma di malattia del fegato nota come colangite biliare primaria, riesce ad impedire l’accesso a ACE2, un enzima che è considerato la “porta” d’accesso per il Coronavirus nel nostro organismo. Dopo aver dimostrato che il farmaco era in grado di prevenire l’infezione nelle cellule cresciute in laboratorio, il team ha voluto fare la prova sugli organismi viventi.

Gli scienziati hanno così prelevato un paio di polmoni donati non adatti al trapianto, che hanno continuato a far respirare fuori dal corpo con un ventilatore e utilizzando una pompa per far circolare un fluido simile al sangue attraverso di essi per mantenere gli organi funzionanti durante lo studio. A un polmone è stato somministrato il farmaco, ma entrambi sono stati esposti al virus SARS-CoV-2. Mentre il secondo si è infettato, l’altro polmone è rimasto sano.

“Ciò potrebbe rivelarsi importante per il trapianto di organi. Considerati i rischi di trasmissione di COVID-19 attraverso organi trapiantati, potrebbe aprire la possibilità al trattamento con farmaci per eliminare il virus prima del trapianto” sottolinea il professor Andrew Fisher, dell’Università di Newcastle. Successivamente, il team di scienziati ha condotto un esperimento su un campione di pazienti.

“Abbiamo reclutato otto volontari sani a cui abbiamo somministrato il farmaco. Quando abbiamo effettuato il tampone per rilevare il Covid, abbiamo trovato livelli più bassi di enzima ACE2, il che suggerisce che il virus avrebbe meno opportunità di penetrare e infettare le loro cellule nasali, la porta principale per il virus” spiega il professor Ansgar Lohse del Centro medico universitario Hamburg-Eppendorf.

Inoltre, non potendo condurre uno studio clinico su vasta scala, i ricercatori hanno esaminato le condizioni dei pazienti che assumevano già l’acido ursodesossicolico per trattare i loro problemi epatici e hanno scoperto che questi soggetti avevano meno probabilità di sviluppare una forma grave di Covid-19 e di essere dunque ricoverati in ospedale.

Utilizziamo l’UDCA in clinica da molti anni, quindi sappiamo che è sicuro e molto ben tollerato, il che rende semplice la somministrazione a soggetti ad alto rischio di COVID-19. – conclude il dottor Fotios Sampaziotis, dell’Università di Cambridge – Costa poco, può essere prodotto in grandi quantità velocemente e facilmente conservato o spedito, il che lo rende facile da distribuire rapidamente durante le epidemie, specialmente contro le varianti resistenti ai vaccini.

Siamo ottimisti sul fatto che questo farmaco possa diventare un’arma importante nella nostra lotta contro il COVID-19.

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Fonti: Nature/University of Cambridge 

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