Una nuova ricerca lega la presenza di diossido di azoto nell'aria ad un maggior rischio di morte per chi si ammala di Covid
Negli ultimi due anni il virus SARS-Cov2 ha provocato la morte di centinaia di persone in tutto il mondo. Sono molti i fattori che concorrono alla comparsa di una forma grave della malattia – stile di vita, tabagismo, immunodepressione, presenza di altre patologie – ma anche l’inquinamento presente nelle nostre città ha certamente un ruolo nell’incidenza di malattia grave e morte.
Sono numerosi gli studi che, già dalle prime fasi della pandemia da Covid-19, hanno legato l’aggravarsi della malattia ad eccessive concentrazioni di elementi inquinanti nell’aria – osservando, per esempio, come la mortalità da Coronavirus fosse più alta in aree più inquinate. Tuttavia, non era chiaro fino ad ora quale fosse effettivamente il nesso causa-effetto fra inquinamento e mortalità.
Ora una nuova ricerca, condotta in Italia, ha dimostrato che l’esposizione ad alti livelli di diossido di azoto (una delle sostanze inquinanti presenti nell’atmosfera delle nostre città, prevalentemente prodotto dal traffico veicolare e dal riscaldamento domestico alimentato da fonti fossili) nelle settimane che precedono l’ospedalizzazione per contagio da Coronavirus provocherebbe alterazioni del sistema immunitario e, conseguentemente, una maggiore vulnerabilità nei pazienti.
(Leggi anche: L’inquinamento atmosferico aumenta il rischio di ammalarsi di Covid, la conferma in uno studio italiano)
I ricercatori hanno selezionato 147 pazienti di età compresa fra i 65 e i 70 anni, provenienti da 10 città pugliesi e ricoverati presso il Policlinico di Bari per la polmonite causata dal virus SARS-CoV2. Di ogni paziente hanno preso nota della città di provenienza, nonché dei livelli di particolato (PM10) e di diossido di azoto (NO2) presenti nell’aria della città. Infine, hanno analizzato il sangue dei pazienti per valutare la concentrazione dei linfociti, ovvero delle cellule disposte alla difesa immunitaria.
I risultati hanno dimostrato che le persone provenienti da città in cui l’aria presentava maggiori concentrazioni di NO2 erano esposte ad un maggiore rischio di mortalità come conseguenza del Coronavirus; al contrario, una maggiore presenza di particolato PM10 non avrebbe avuto effetti significativi sull’aggravarsi della malattia. Ma non solo: l’analisi del sangue dei pazienti pugliesi ospedalizzati ha confermato che ad una carenza di linfociti corrisponde un aumentato rischio di morte per Covid-19.
Insomma, misure di prevenzione e riduzione dell’inquinamento urbano, promosse dagli amministratori delle città, potrebbero avere effetti positivi non solo sull’ambiente e sullo stato di salute generale delle persone, ma anche sull’incidenza della mortalità nei casi più gravi di Coronavirus.
La ricerca – spiega il primo autore dello studio, Dott. Agostino Di Ciaula – dimostra che l’inquinamento atmosferico al quale si è esposti prima di contrarre l’infezione virale da SARS-COV-2 ha un ruolo di rilievo nel produrre alterazioni immunitarie che possono favorire l’infezione virale e condizionare il rischio di morte in pazienti successivamente ospedalizzati, soprattutto se fragili.
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Fonte: Environmental Science and Pollution Research / Università di Bari
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