Secondo una nuova ricerca le persone residenti in zone a più alto tasso di contagio avrebbero maggiori rischi di sviluppare un disturbo post traumatico da stress.
Da un recente studio coordinato dall’Università di Pisa e pubblicato su The Journal of Clinical Psychiatry, le persone più vicine agli epicentri pandemici sono quelle che maggiormente hanno sofferto di disturbi mentali, in particolare disturbi post-traumatici da stress, oltre a sintomi d’ansia e disturbi dell’umore.
Questa ricerca è la prima mai condotta su un campione di pazienti già affetti da queste problematiche e, secondo quanto riportato dalla professoressa Claudia Carmassi dell’Ateneo pisano e dell’Unità operativa Psichiatria dell’Aoup diretta dalla professoressa Liliana Dell’Osso:
Il nostro scopo era quello di indagare se vivere in un’area ad alta incidenza Covid-19 comportasse livelli più elevati di sintomi post-traumatici da stress, ansiosi o depressivi, rispetto a chi abitava nelle zone di bassa incidenza.
Lo studio
Lo studio è stato condotto a seguito della prima ondata di Covid-19 e dopo il primo lockdown, ossia tra il 1 giugno e il 30 luglio 2020. La ricerca ha coinvolto 102 pazienti, metà uomini e metà donne, reclutati presso l’ambulatorio psichiatrico delle Cliniche Psichiatriche di due ospedali universitari italiani: Pisa come “zona a bassa incidenza Covid-19” e Verona come “area ad alta incidenza”.
Tutti i pazienti sono stati monitorati nei 3 mesi successivi al lockdown; ciò che si è notato è che il livello di esposizione alla pandemia è risultato il principale fattore di rischio per lo sviluppo del disturbo post traumatico da stress, a prescindere dall’età e dal sesso dei pazienti.
Questi risultati si affiancano a quelli emersi da altri studi che la stessa professoressa Carmassi ha condotto negli ultimi anni sul disturbo post-traumatico da stress nelle vittime dei maggiori eventi traumatici di massa in Italia, tra cui: i sopravvissuti al terremoto di L’Aquila del 2009, in collaborazione con i colleghi dell’Università di L’Aquila, i soccorritori del naufragio della Costa Concordia, in collaborazione con la Marina Militare Italiana, e gli operatori sanitari impegnati nell’emergenza Covid-19, in collaborazione con i colleghi di Codogno e di altri importanti atenei italiani coinvolti nell’emergenza sanitaria e l’Istituto Superiore di Sanità.
La nostra ricerca ha messo in evidenza i bisogni di assistenza sanitaria dei pazienti psichiatrici come parte particolarmente vulnerabile della popolazione – conclude Carmassi – Crediamo che il crescente utilizzo della telemedicina possa essere molto utile per consentire un follow-up continuo di pazienti.
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Fonte: The Journal of Clinical Psychiatry
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