Da domani migliaia di visoni verranno abbattuti in nove allevamenti olandesi, dopo che gli animali sono risultati positivi al coronavirus.
Da domani migliaia di visoni verranno abbattuti in nove allevamenti olandesi, dopo che gli animali sono risultati positivi al coronavirus. Così ha ordinato il Governo, seguendo i consigli di un team di veterinari, secondo cui gli allevamenti potrebbero trasformarsi in un focolaio per il SARS-CoV-2.
Ne avevamo già parlato, i visoni allevati in due strutture del Noord-Brabant, una provincia a Sud dei Paesi Bassi, la Beek en Donk e il Milheeze, dove sono stipati complessivamente più di 20mila animali da pelliccia, erano risultati positivi al nuovo coronavirus. Da lì la preoccupazione che potesse scoppiare un focolaio ha portato a diverse polemiche. Tutto era partito dal fatto che il 25 maggio, il ministro dell’Agricoltura olandese Carola Schouten, sosteneva che era “estremamente probabile” che due lavoratori olandesi, impiegati nell’allevamento di animali da pelliccia, avessero contratto il COVID-19 da visoni infetti da SARS-CoV-2.
Ad oggi, come raccontano i media locali, sono stati trovati visoni infetti in otto allevamenti situati a Gemert-Bakel, Laarbeek, Deurne e Sint-Antonis. Da qui la decisione di dismettere tutte le strutture per evitare che si trasformino in un serbatoio per il virus. Noi abbiamo parlato tante volte degli allevamenti di visoni, in cui gli animali sono stipati in piccole gabbie, ammassati l’uno sull’altro e costretti a stare tra escrementi e cadaveri.
Una vita da automi, al buio e senza possibilità di muoversi e una morte per asfissia per non rovinare appunto la preziosa pelliccia. Nei Paesi Nei Paesi Bassi queste fattorie saranno vietate dal 2024, ma nel frattempo animali innocenti continuano a morire. Secondo le stime, come spiega in una nota l’organizzazione animalista Humane Society International, si tratta di 60 milioni di visoni allevati in 24 paesi, primi tra i quali nel 2018 la Cina (20,6 milioni di visoni), la Danimarca (17,6 milioni di visoni) e la Polonia (5 milioni di visoni).
“Il confinamento degli animali da pelliccia ha sempre rappresentato un potenziale rischio per lo sviluppo e la diffusione di malattie infettive. Il fatto che oltre ad essere estremamente crudele, l’allevamento di animali da pelliccia possa fungere da incubatrice per i coronavirus, dovrebbe essere ragione sufficiente per porre fine a questa industria e reindirizzare il mondo della moda verso il fur-free”, spiega Joanna Swabe, direttrice delle Relazioni Istituzionali per Humane Society International Europe.
Da domani, quindi, partono gli abbattimenti nelle strutture infette. A quelle che non lo sono è richiesto di continuare a seguire le misure in vigore e di consegnare settimanalmente le carcasse degli animali presumibilmente deceduti di cause naturali. I test obbligatori su tutti gli allevamenti sono in corso ed i risultati sono attesi per la prossima settimana. E anche in Italia le associazioni fanno appello al governo italiano affinché vengano smantellati gli allevamenti intensivi.
“Facciamo appello al governo italiano affinché stabilisca la chiusura di tutti gli allevamenti di animali da pelliccia in Italia, purtroppo ancora attivi in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Abruzzo, prevedendo il recupero e la riabilitazione degli animali. Questi allevamenti possono ricordare i cosiddetti ‘mercati umidi’ cinesi, come quello di Whuan, dove si è verificato il primo contagio da animale selvatico a uomo, come attestato dai ricercatori. In questi stabilimenti gli animali vivono spesso in pessime condizioni igieniche e lo stress che subiscono dalla nascita all’uccisione è altissimo, costretti come sono a subire un’angusta cattività in scenari d’inferno. Un motivo di più per riflettere sulla necessità di chiudere tutti questi stabilimenti. Inoltre, le case di moda si rassegnino: la pelliccia è out, proprio in quanto prodotto derivante da crudeltà”, chiosa Massimo Comparotto, presidente Oipa Italia.
Fonti:Nu.Nl/Bd.Nl/Weekbladvoordeurne.nl/Telegraaf.Nl
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