A mezzogiorno (ora italiana) sono state diffuse le cifre aggiornate sulle conseguenze del terremoto di magnitudo 9 e dello tsunami che venerdì scorso ha interessato l'area nord orientale del Giappone e ha causato l'emergenza nucleare nella zona della centrale di Fukushima. In questo caso, le cifre che vengono divulgate sono tutt'altro che aride: riflettono una situazione che peggiora di ora in ora.
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A mezzogiorno (ora italiana) sono state diffuse le cifre aggiornate sulle conseguenze del terremoto di magnitudo 9 e dello tsunami che venerdì scorso ha interessato l‘area nord orientale del Giappone e ha causato l’emergenza nucleare nella zona della centrale di Fukushima. In questo caso, le cifre che vengono divulgate sono tutt’altro che aride: riflettono una situazione che peggiora di ora in ora.
L’ultimo bilancio (in ordine di tempo) diffuso dalla National Police Agency rivela che i morti sono 3676, i dispersi sono 7558 e i feriti 1990. Oltre mezzo milione di abitanti (556132 persone) sono stati evacuati; decine di migliaia le persone che, ad oggi, restano bloccate e verso le quali gli aiuti si fanno sempre più difficili. Il Ministero della Salute ha riferito, in queste ore, che gli edifici gravemente danneggiati sono 80422; 4798 quelli andati completamente distrutti.
Non va dimenticato, peraltro, che un gran numero di edifici si trova tagliato fuori dalla fornitura dei servizi essenziali. Circa 1 milione 600 mila abitazioni non hanno l’acqua corrente; 621439 risultano senza elettricità.
L’immediato tam tam internazionale dei soccorsi si è mosso nel volgere di una manciata di ore. Finora, 112 Paesi e 23 organizzazioni internazionali hanno offerto il proprio aiuto al Giappone: è quanto comunicato dal Ministero degli Esteri, senza tuttavia specificare a quanto ammontino gli aiuti, in termini monetari.
Cinquanta tecnici al lavoro, conoscono già la propria sorte
Un aspetto ancora più tragico (se si può parlare di inasprimento di tragicità in questa catastrofe), nella sua umanità, arriva dall‘opera eroica dei ciquanta tecnici della Tepco – la società che ha in gestione le due centrali atomiche di Fukushima (nelle quali lavorano ottocento dipendenti), distanti fra loro una decina di chilometri – che da ieri si trovano a lottare contro due delle conseguenze che si cerca di scongiurare: nuove esplosioni e il rischio di una contaminazione radioattiva per centinaia di migliaia di persone. Un nemico reale, ben visibile; e uno più vigliacco, che potrà far sentire i propri effetti in un secondo tempo.
Fa riflettere l’abnegazione di questo gruppo di tecnici, che conosce bene quale sarà il proprio destino. Saranno contaminati dalle radiazioni. Ecco cosa capiterà loro. E però restano lì, a combattere contro i sei reattori della centrale.
Degli ottocento lavoratori di Fukushima, la maggior parte è stata evacuata. La maggior parte: cinquanta tecnici no. Come dire: un dipendente su sedici. A loro, i dirigenti della Tepco hanno chiesto di restare.
Tutti conosciamo l’abnegazione del popolo giapponese. Tutti ne abbiamo avuto chiara testimonianza, in questi giorni, osservando la compostezza con la quale le persone hanno accettato la catastrofe, l’organizzazione dei soccorsi nonostante difficoltà anche insormontabili.
Fatalismo atavico? Senso del dovere radicato in millenni di cultura? Forse uno, forse l’altro di questi aspetti. Fatto sta che nessuno dei cinquanta tecnici di Fukushima sembra abbia posto la minima obiezione a mettere in secondo piano la propria salute, la propria vita, per combattere contro il mostro atomico. Un mostro costruito dall’uomo stesso.
Ricordiamo i piloti degli elicotteri che, nel 1986, volarono sopra Chernobyl per scaricare dal cielo tonnellate su tonnellate di cemento per coprire il nocciolo. Erano tutti piloti dell’aviazione militare che si trovavano di stanza in Afghanistan: il premio promesso per la missione sarebbe stato il ritorno a casa. Ci riuscirono, ma morirono tutti.
Anche loro, i tecnici eroi, sanno bene a cosa andranno incontro. In una manciata di ore, il corpo assorbe una enorme quantità di radiazioni: la stessa che si assorbirebbe in anni e anni.
La differenza sostanziale rispetto ai tecnici Tepco sta proprio qua, nella “chiamata”: i piloti dell’allora aeronautica sovietica erano stati ordinati di procedere all’operazione. I tecnici Tepco, no: hanno scelto liberamente di restare lì.
Da tre giorni, Fukushima 1 è come impazzita. Due esplosioni, la prima al reattore numero 1; la seconda al reattore umero 2. L’esposizione all’aria delle barre di uranio, e l’inizio della fusione. Una nuova esplosione, il fumo vigliacco che ha causato la morte di sei dipendenti, cinque militari e un tecnico. Si continua a ordinare il pompaggio dell’acqua all’interno dei reattori. Ma come si fa, se le pompe sono fuori uso, se il mare è lì a un passo e non si sa come fare?
Il commissario europeo per l’Energia, Gunther Oettinger, ha riferito nelle scorse ore che la valutazione della gravità degli incidenti nucleari in Giappone “È passata da un livello 4 ad un livello 6, sulla base di quanto accaduto nelle ultime 24 ore”, ricordando che il disastro di Chernobyl dell’aprile 1986 è classificato come livello 7, il massimo.
Questo cosa vuol dire? Che le sorti della salute del popolo giapponese sono affidate, sì, all’azione congiunta del Governo, delle forze di polizia, dei funzionari Tepco. Ma lì dentro, ci sono 50 uomini vestiti con la tuta bianca e il respiratore, che non si curano – non lo possono fare: ormai non si può più tornare indietro – dei contatori geiger dalle lancette impazzite appesi alle cinture. E delle parole degli esperti in energia nucleare che avvertono che il livello di radioattività “Rischia di uccidere in una manciata di ore chi è rimasto a Fukushima 1”.
Cosa ne sarà di loro? Guardiamo in faccia la realtà, come il popolo giapponese è abituato a fare con una naturalezza che ha dell’incredibile. Non facciamoci illusioni: sono condannati.
Estinto l’incendio al reattore 4; continuano le emissioni di vapore dal reattore 3
Pochi minuti fa, è giunta la notizia che l’incendio divampato nel reattore numero 4 della centrale Fukushima 1 si è estinto “In maniera spontanea”, riferisce una nota dell’AGI. Nel frattempo, dal reattore numero 3 si sta verificando una fuoriuscita di fumo. Potrebbe essere vapore, osservano i dirigenti della Tepco. Yukio Edano, portavoce del Governo giapponese, è del parere che si tratti di vapore che proviene dalla vasca di contenimento del reattore. Il funzionario del Governo osserva che il contenitore dispone di un ugello di scarico; “Tuttavia non dovrebbe fuoriuscire alcun gas”, ha riferito. Questo può voler dire che la vasca di contenimento ha subito dei danni.
Nel giro di pochi minuti, il livello di radioattività intorno alla centrale presenta un andamento altalenante. Dopo un’improvvisa impennata (è stato raggiunto un picco di 6,4 millisievert), in una decina di minuti le radiazioni sono calate in maniera brusca: in questi minuti si attestano sui 2,9 millisievert.
Stop alla missione con gli elicotteri. Oggi si tenta con i cannoni ad acqua
L’improvviso innalzarsi della radioattività aveva fatto decidere alle autorità di evacuare temporaneamente i tecnici dalle attività all’interno della centrale. Alcuni elicotteri dell’esercito si trovavano pronti per effettuare dei voli sull’area e gettare acqua in grandi quantità per contribuire al raffreddamento dei reattori, sui quali pende la spada di Damocle di quattro esplosioni e due incendi.
Tuttavia, è proprio l’elevato livello delle radiazioni ad avere consigliato i funzionari al rinvio dei voli: lo riferiscono i portavoce del Ministero della Difesa.
Si tenterà di porre rimedio con altre modalità alle conseguenze dell’incendio al reattore numero 4. I funzionari delle forze di polizia riferiscono che, oggi, la vasca del reattore numero 4 che contiene le barre di combustibile atomico sarà fatta raffreddare con l’utilizzo di un cannone ad acqua.
Una nota dell’agenzia Kyodo News, che riporta una dichiarazione giunta negli ultimi minuti dai funzionari della Prefettura di Fukushima, tiene a informare che, per il momento, l’acqua dei rubinetti non contiene né iodio né cesio radiottivi.
Le centrali erano a rischio da tempo
È quanto affermano i funzionari internazionali. Già due anni e mezzo fa, secondo quanto riportato da RaiNews24 questa mattina, un dirigente dell’Agenzia Internazionale Atomica avvisò il Governo giapponese circa il rischio che le centrali nucleari avrebbero potuto avere dei problemi, a causa della carenza di aggiornate norme di sicurezza in caso di sisma.
La centrale di Kashiwazaki-Karuwa, formata da sette reattori e l’impianto nucleare più grande del mondo, venne già danneggiata a luglio 2007da un terremoto di magnitudo 6.8. In quell’occasione, i dirigenti della Tepco sulle prime puntarono a minimizzare l’accaduto, salvo poi ammettere dopo poche ore il fatto che il progetto di costruzione della centrale non aveva preso in considerazione la possibilità che potesse verificarsi un terremoto di tali proporzioni.
Una news comparsa in queste ore sul Telegraph e che cita i dispacci diplomatici diffusi da WikiLeaks indica che, nel 2009, le autorità giapponesi si erano opposte a una sentenza emessa da un Tribunale per la chiusura di una centrale, ritenuta poco sicura in caso di terremoto. E questo nonostante già nel 2008 un deputato del Parlamento giapponese avesse denunciato alla diplomazia USA l’insabbiamento di incidenti nuclearieffettuato dal Governo. Questo perché, si legge nel dispaccio WikiLeaks, le maggiori Compagnie elettriche non rendono noti i problemi di sicurezza delle centrali.
Il problema additato dal rappresentante del partito Liberal-democratico Taro Kono (figlio di Yokei Kono, vecchia volpe della politica giapponese) era di natura squisitamente politica: il muro di gomma della burocrazia della Nazione e la posizione di potere detenuta dalle utility dell’energiahanno “Buon gioco nelle pratiche di pilotaggio delle questioni legate alla sicurezza delle centrali, sui problemi di stoccaggio delle scorie e di trattamento del combustibile”.
A questo punto, la questione sulla quale occorre ragionare, e da subito, riguarderà il futuro dell’energia nucleare nel Paese. In una Nazione cosìa rischio di problemi sismici, e tutt’altro che al sicuro da eventuali nuove catastrofi, come ha osservato – fra le righe – il commissario europeo per l’Energia Gunther Oettinger, è davvero utile puntare ancora così tanto sul nucleare? E quanto è sicuro lo stoccaggio delle scorie nel sottosuolo?
Un nuovo aiuto da Google: “Japan Quake Person Finder”
La catena di aiuti si rivela preziosa grazie al Web. Dopo l’attivazione degli aggiornamenti fotografici di Google Earth, Google ha lanciato “Japan Quake Person Finder”, un servizio basato sul Google Person Finder e dedicato alla ricerca dei dispersi del terremoto – tsunami. Il servizio consiste in una bacheca, che può essere utilizata da parte di quanti abbiano smarrito amici e familiari nella catastrofe di venerdì, pubblicando degli annunci di scomparsa e cliccando su una delle due sezioni: “I’m lookong for someone” o “I have information about someone”. Si ottengono, in questo modo,informazioni in tempo reale sulle persone scomparse. In più, è possibile anche inserire informazioni su sé stessi, per rassicurare i familiari e gli amici.
Incetta di jet privati
Migliaia di abitanti dell’area nord orientale del Giappone, scampati dalla catastrofe, adesso cercano con ogni mezzo di lasciare il Paese a causa del rischio nucleare. Nelle ultime ore, le Compagnie charter che affittano jet privati sono state inondate di richieste. I prezzi, nello spazio di poche ore, hanno avuto un’impennata del 25%.
Questo fatto, tuttavia, non impedisce ad alcune aziende multinazionali di evacuare il proprio personale da Tokyo e dalle aree circostanti, dopo il perdurare dei black out, la progressiva scarsità di rifornimenti e le radiazioni di basso livello che ieri hanno iniziato a farsi sentire nel distretto della metropoli di 13 milioni di abitanti.
I lavoratori sono in fuga verso Hong Kong, Taiwan, la Corea del sud; ma anche verso Paesi più lontani: Australia e Paesi della costa ovest degli USA.
Alcuni esempi? Jackie Wu, direttore generale di Hong Kong Jet, una società controllata dal Gruppo cinese HNA, riferisce di avere ricevuto “Una richiesta per 14 persone da Tokyo a Hong Kong. I funzionari non si preoccupano dei prezzi. La richiesta, gonfiata del 26%, ammonta a più di 160 mila dollari”. Un charter da Tokyo all’Australia, indica Wu, “In poche ore è aumentato del 20%: ora stiamo sui 265 mila dollari”.
D’altro canto, la penuria di carburante e la chiusura degli aeroporti stanno complicando le operazioni in Giappone.
Mike Walsh, amministratore delegato di Jet Asia, ha dichiarato di avere effettuato questa mattina (ora italiana) tre voli di evacuazione da Tokyo a Hong Kong: “Sono aumentati nello spazio di una notte a causa del progressivo peggioramento della situazione. In queste ore stiamo concordando con più di mille persone dei voli di evacuazione da Tokyo”.
Piergiorgio Pescarolo
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