Vi portiamo a Roma, "the Infernal City". Come si vive in città durante una delle peggiori ondate di calore della storia
Il Times ha appena definito: Roma “the Infernal City”. E, in effetti con l’ondata di calore che ci sta colpendo (e che peggiorerà nei prossimi giorni), la nostra vita è davvero molto simile all’inferno.
I più fortunati sono chiusi in casa con l’aria condizionata incessantemente accesa, le abitazioni hanno costantemente le tapparelle chiuse. “Bere di più e vestirsi freschi”, il mantra che per anni i Tg ci hanno ripetuto, ormai è inutile come un tappo a bordo del Titanic.
Si cerca refrigerio in ogni modo, assaltando piscine e centri commerciali. Ci si sposta in massa verso i più vicini mari e laghi, che somigliano sempre più a pozze. I cibi si deteriorano velocemente, le scarpe si incollano all’asfalto, i turisti si bagnano nella fontana di Trevi e gli abitanti si salutano non più con “ciao”, ma con “aho’, ammazza che callooo!”, scambiandosi informazioni sulla ricerca dei famosi nasoni più vicini, per avere un po’ di refrigerio.
Una settimana ad alta temperatura che vede l’avanzata su tutto il bacino del Mediterraneo dell’anticiclone africano, con 40 gradi nel Centro Sud della Penisola, e punte di 45 e oltre nelle zone interne di Sardegna, Sicilia e Puglia.
Nella Capitale di Italia verrà battuto con tutta probabilità il valore più alto mai registrato nella stazione Roma Urbe risale al giugno 1982 (40,7°): nella giornata di martedì 18 luglio sono previsti 42 gradi all’ombra.
Anche quel giorno dovrò lasciare i bambini al centro estivo e ne sono terrorizzata. Basterà l’ombra e rinfrescarli? Abbiamo messo una piscinetta gonfiabile sul balcone. I vicini si affacciano alle finestre per essere colpiti dalle loro pistole ad acqua.
“Fa ancora troppo caldo per uscire, mamma?”. Vietata qualsiasi attività motoria prima almeno delle ore 18. A qualsiasi domanda, la risposta è fissa: “dopo le 18”. Siamo zombie, incollati al telefono a guardare foto delle vacanze in mare e in montagna di chi è riuscito a scappare.
Cosa stiamo imparando? Spero qualcosa. Perché tutto questo ci sbatte in faccia che stiamo andando verso una realtà sempre più angosciante. Coloro che hanno provato a urlarlo sono stati zittiti dallo stigma della società e dall’inettitudine e dagli anatemi dei politici.
Chiamatelo come volete, “climatechange”, “cambiamento climatico”, “crisi climatica”, “adattamento climatico”. Francamente, le parole non contano più nulla. Non è più il tempo della semantica.
Il rapporto dell’IPCC ha dimostrato che già con un pianeta mediamente più caldo di 1,5°C i rischi climatici sono molto rilevanti.
Per fare qualche esempio, in Italia potremmo avere siccità prolungata, morti e blackout elettrici durante le ondate di calore nelle città, diffusione di malattie tropicali e nuovi virus patogeni , perdite di raccolti e carestie, uragani anche nel Mediterraneo.
E ancora precipitazioni sempre più intense, con conseguenti alluvioni e frane (in un Paese già pesantemente a rischio idrogeologico). Il livello del mare aumenterebbe di 6 centimetri per l’Adriatico e fino a 8 centimetri per il Mar Tirreno. L’erosione delle coste sarà impattante, unitamente all’acidificazione delle acque marine.
Fatemi dare una buona notizia, prima di essere accusata di catastrofismo: saremmo ancora in tempo per evitare repentini peggioramenti di un quadro globale già compromesso.
E invece, in nome del dio denaro, delle lobby e delle nostre fasulle comodità stiamo condannando i nostri figli. E i figli dei figli. Ma in loro confido, perché anche la mia generazione e quelle precedenti hanno fallito.
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