Anche la location scelta per ospitare l’evento è in linea con la filosofia del progetto. reFILE, l’evento del Fuorisalone 2011 dedicato al design sostenibile, ha occupato ben 400 mq ricavati all’interno di un vecchio stabile che normalmente ospita attività di teatro, danza e sport. A sua volta incastonato in un quartiere che sta cercando da tempo di restituire nuova vita ai residui di un passato industriale ormai lontano.
Anche la location scelta per ospitare l’evento è in linea con la filosofia del progetto. reFILE, l’evento del Fuorisalone 2011 dedicato al design sostenibile, ha occupato ben 400 mq ricavati all’interno di un vecchio stabile che normalmente ospita attività di teatro, danza e sport. A sua volta incastonato in un quartiere che sta cercando da tempo di restituire nuova vita ai residui di un passato industriale ormai lontano.
Via Ventura 4, zona Lambrate, Milano. In soli due anni è diventata l’alternativa cool del Fuorisalone. Meno luccichii e più concretezza. Più idee e meno star-designer.
Dentro stanze bianche e lunghi corridoi verde acqua si dispongono i progetti di diciotto designer e collettivi raccolti tramite una selezione avviata dal blog di reFILE. Dal virtuale al reale. All’inizio di marzo, Egle Borgia e Iskra Sguera, entrambe designer e animatrici del blog che segnala idee e progetti che sviluppano i temi del riuso e del recupero, pubblicano una call tramite la quale richiamare tutti coloro che avevano a disposizione progetti – meglio ancora se inediti – legati al riciclo di materiale di scarto.
Una lavagna all’entrata dello spazio ricorda che dietro questa scelta progettuale si fa sempre più forte la voce di una vera e propria corrente progettuale, il Design Sistemico. Una disciplina che oltre a far leva sulle leggi del disegno industriale ingloba concetti come risparmio delle materie prime, multifunzionalità, biodegradabilità e riutilizzo. Tutto gira attorno al semplice principio che ciò che è scarto per qualcuno può diventare risorsa per qualcun altro, in un sistema locale e che concepisce l’uomo come fulcro del progresso.
A partire da queste piattaforme di idee una creatività indipendente, fresca, immediata, diretta, è esplosa sotto forma di un centinaio di progetti. Visi giovani, giovanissimi, portatori essi stessi di abiti spesso provenienti da armadi di altri epoche o esito di incroci di stili tutti da ricostruire, presidiavano con cura opere in cui la stravaganza era più vicina all’efficienza che non al desiderio di stupire.
Utile eppure tremendamente chic, la vasca da bagno appoggiata sopra le gambe oscillanti di una sedia a dondolo, ricoperta di un lussuoso cuscino rosso. Oppure il cestello della lavatrice che diventa lampadario. Sono idee di frees.co un nucleo fiorentino che si muove agilmente tra design, architettura e letteratura e arte.
Per gli amanti invece delle carrozzerie pesanti, i componenti delle auto si rivelano da questo Fuorisalone, delle fonti inesauribili di soluzioni. Dai fari che si trasformano in lampade, agli involucri esterni che diventano divani. Antiruggine è il nome del designer – fabbro che sta dietro queste piccole ma interessanti idee.
Silvia Ramalli e Luca Binaglia di Unwaste propongono invece idee semplici che viene subito da replicare. Con fruit flavoured hanno svuotato una cassettiera dai cassetti ormai cadenti per metterci delle semplici cassette di plastica della frutta da mercato. Dalle bottiglie di PET colorate sono riusciti a estrarre orecchini, collane, papillon per spille e bracciali…
Altrettanto geniale nella sua immediatezza l’idea di usare un mazzo di bottiglie del Sanbitter per contenere altrettante margherite. Lo ha pensato ed esposto Veronica Salvarani che si presenta con il nome di Magieinsoffitta.
Coseamodo è invece il nome scelto dalla designer che, con un taglio laser ben mirato è riuscita a trasformare bottiglie di vetro in “lucina e lucetta”. Attaccata al filo di un vecchio ferro da stiro, la lampadina rigorosamente a basso impatto, si infila dal buco del tappo del vecchio contenitore e riflette la propria luce sui vetri smerigliati delle bottiglie del vino, su quelli verdi dell’acqua e su quelli panciosi delle bottiglie del latte.
Ciò che sembra accomunare le soluzioni proposte è una figura di progettista che torna a riprendere in mano gli strumenti del lavoro: seghe, martelli, cacciaviti, pialle appaiono in trasparenza dietro gli oggetti. È evidente come dietro a ogni idea non ci sia solo il lavoro al computer e il passaggio di file da una macchina a una macchina. Dai tentativi di modellare la materia già esistente per fornirle altra vita passa il senso di un’ immersione nel lavoro.
In un luogo che sembrava destinato a morire insieme ai suoi fasti passati come l’area Lambrate di Milano, questo tipo di creatività acquisisce ancora più senso e fa guardare in avanti. Fa credere alla rinascita di un nuovo tipo manifattura, più piccola ma più ingegnosa, fatta di pochi pezzi ma affidata al lavoro dell’uomo.
Pamela Pelatelli