La nostra guida ragionata sulle lampadine a risparmio energetico con riflessioni sul presente e il futuro, sui vantaggi e gli svantaggi delle lampade a basso consumo.
Indice
Una piccola rivoluzione sta investendo il mondo delle lampadine e delle fonti di illuminazione in genere. È silenziosa, veloce, inevitabile, imprevedibile ed eccitante. Soprattutto è in corso da appena qualche anno e ha già totalmente modificato la percezione comune della luce artificiale. Parafrasando Adriano Celentano si potrebbe dire che là dove ora c’è un negozio di lampadine, un tempo c’era appena un paio di modelli tra i quali scegliere. Le nuove esigenze di illuminazione insieme con le contingenze ambientali hanno portato in poco tempo un mercato statico e poco incline all’innovazione a prolificare diversificando l’offerta e introducendo soluzioni sempre più innovative, rispetto alle quali non sono mancate in alcuni casi anche le polemiche.
Per quanto il nostro immaginario si sia arricchito negli ultimi anni di nuovi riferimenti, alla parola lampadina la memoria corre ancora dietro alla silhouette tondeggiante e alla pelle trasparente della classica lampadina a incandescenza. Ormai bandita dal mercato, continua a portare con sé una molteplicità di simbologie. E come una vecchia attrice che è stata tanto amata dal pubblico, riempie ancora copertine dei giornali e provoca sentimenti nostalgici di un passato dalla luce calda e avvolgente.
C’era una volta…
Tutto ebbe inizio nel 1801 quando un certo signor Humphry Davy ebbe un’illuminazione (e qui non si tratta di una metafora ma di realtà) nel momento in cui fece passare la corrente elettrica attraverso un filo di platino. Quasi settanta anni dopo uno degli uomini più importanti degli ultimi 1000 anni, Thomas Alva Edison “illuminò il mondo” iniziando a commercializzare la lampadina e sostituendo il platino con il carbonio.
L’aneddoto vuole che proprio nello stesso periodo un giovane ricercatore torinese, tale Alessandro Cruto, dopo aver assistito a una serie di conferenze tenute da Galileo Ferraris sui progressi dell’elettricità, scoprì che un filamento di carbonio immerso in un’atmosfera di etilene durava 134 volte il tempo di una normale lampadina a incandescenza di Edison. Anche allora la mancanza di finanziamenti in Patria non gli permise di brevettare la scoperta e commercializzarla, come invece fece da lì in poi l’americano che divenne simbolo della luce elettrica.
La lampada a incandescenza (GLS)
Pochi anni dopo, il carbonio fu sostituito dal tungsteno che ben presto divenne la materia standard per la costruzione di una lampadina. Come molte grandi opere dell’ingegno, essa risponde a uno dei più banali principi della fisica: “in assenza di ossigeno, nulla può bruciare”. Il filamento di tungsteno, condotto a surriscaldarsi in un ambiente chiuso – generalmente di vetro o quarzo – riempito di gas inerti, si illumina. Ciò che ha condotto questo piccolo e rivoluzionario oggetto a essere destinato alla rottamazione è che solo il 5% dell’energia che serve per alimentarlo è effettivamente convertita in luce, mentre il restante 95% si disperde nell’aria. Inoltre, la durata delle lampadine è messa in discussione dalla loro fragilità e dalla predisposizione a “fulminarsi”, cioè a far evaporare in fretta il tungsteno causando acquisti multipli e frequenti.
Altre tipologie di lampadine
La lampadina a incandescenza non è stata certo l’unica tipologia di sorgente luminosa a occupare il mercato prima della sua messa al bando. Non vi è dubbio certo che fosse la più diffusa. Nei cento anni circa della sua vita si sono alternate altre tecnologie che hanno cercato di scalzarne la supremazia come le lampade alogene, quelle fluorescenti tradizionali e quelle LED.
Lampade alogene
Sono conosciute ai più come “faretti”. Quelli con i quali centinaia di interior designer hanno invaso salotti e sale da pranzo al grido di “luce diffusa”. Il funzionamento è legato al filamento di tungsteno che, combinato con lo iodio, dà luogo a un composto chimico che si deposita sul filamento stesso, auto-alimentandolo. Ne risulta un ciclo di vita doppio rispetto alla lampadina a incandescenza e una efficienza pari al 10/20%.
Lampade a scarica o fluorescenti (o al neon)
Lo spirito di semplificazione avvicina questa tipologia ai classici lampadari al neon che hanno avvolto le stanze di milioni di cucine italiane di una strana luce biancastra e priva di ombre. In realtà, il fenomeno della scarica appartiene a numerose tipologie di lampade a tubo o ad arco che contraddistinguono insegne e scritte sull’esterno piuttosto che interni di laboratori e sale operatorie, dove il fenomeno fisico dell’illuminazione non è sempre determinato dal neon. Proprio la scelta del gas presente dentro l’ampolla di vetro o quarzo attraverso il quale passa la scarica elettrica, prodotta da due elettrodi che si attraggono, produce gamme di colore ed efficienze energetiche diverse. La performance di questa tipologia di lampade, infatti, è decisamente migliore di quelle ad incandescenza dal momento che sfrutta almeno il 25% dell’energia richiesta.
Lampadine a LED
Negli anni ’70 arriva sul mercato americano uno strano e piccolo oggetto, capace di emettere luce fredda. È il LED (Light Emitting Diode) che, scoperto da un anonimo ingegnere elettronico, apre a numerosi vantaggi sia da un punto di vista ambientale (rapporto efficacia/durata) sia da un punto di vista cromatico (numerose gamme di colori) sia da un punto di vista illuminotecnico (accensione immediata e direzionabilità della luce). Il LED è composto da una stratificazione di materiali semiconduttori assemblati in una struttura a “wafer” e avvolti da una guarnizione di finitura trasparente che consente la fuoriuscita della luce. I costi elevati, seppure a paragone con durate pari a 50.000/80.000 ore e un’efficacia del 50%, ne ha per molti anni limitato l’uso e l’accessibilità. Tempi migliori sono arrivati però anche per i LED. I prezzi si sono notevolmente abbassati a fronte di una notevole varietà di soluzioni luminose – che lasciano al palo le alternative tradizionali.
Le lampade fluorescenti compatte (LFC)
Derivate dalle classiche lampade fluorescenti, contengono al posto del neon, il mercurio che, surriscaldato, emette un raggio ultravioletto il quale è trasformato in luce dalla polvere fluorescente che va a ricoprire la parete interna del bulbo.
La bolla dell’illuminazione a basso impatto ambientale ha spinto all’acquisto di queste lampade, facendo alzare alle stelle i fatturati delle aziende produttrici. Ancorché non economiche al pari di quelle a incandescenza, ma più accessibili dei LED esse sono diventate il mantra tramite il quale risolvere il problema dell’illuminazione. Consumano un quarto o un quinto dell’elettricità delle loro parenti spendaccione e durano dalle 6 alle 10 volte di più, ma la presenza di mercurio all’interno le rende comunque delle potenziali minacce per l’ambiente.
Secondo alcuni studi, una fuoriuscita di questa sostanza causata dalla rottura della lampadina disperde circa 5 milligrammi di mercurio (l’equivalente di una macchia di inchiostro sulla punta di una penna a sfera) provocando notevoli danni all’ecosistema circostante. A questo proposito, i ricercatori dell’Università di Stanford hanno verificato che 1 milligrammo di mercurio può arrivare a contaminare circa 4 mila litri di acqua con gravi conseguenze sul sistema delle falde acquifere, dell’irrigazione e delle acque comunali.
In caso di mercurio sul pavimento per esempio è necessario procedere con cautela e: aprire le finestre della stanza, pulire con uno straccio bagnato la superficie interessata e non usare l’aspirapolvere. Soprattutto non toccare il materiale con le mani.
La normativa europea aveva previsto la progettazione di forme di raccolta in grado di venire incontro alle controindicazioni del prodotto, ma la spinta forzata all’acquisto di queste lampadine ha fatto alzare le antenne a non pochi ambientalisti. Specie in virtù del fatto che gran parte dell’informazione che doveva mettere in guardia sul contenuto delle lampadine è passata in secondo piano rispetto all’enfasi con cui si è lanciato il programma di attività legate alla nuova illuminazione eco-compatibile.
La normativa europea di riferimento
Ci sono date che cambiano la storia delle Nazioni, date che cambiano la storia delle persone e date che cambiano il mercato delle lampadine. Nel 2008 l’Unione Europea stabilisce che a partire dal 1 settembre 2009 le lampade prodotte per il mercato comunitario avrebbero dovuto rispettare nuovi requisiti di efficienza energetica. Da quel momento in poi, fino alla data del 31 dicembre 2012 – anticipata al 1 gennaio 2011 dal Governo Italiano – è iniziato un graduale processo di ritiro dal mercato delle lampadine alogene e di quelle a incandescenza tradizionali. Già oggi sono bandite quelle con potenza pari a 100 e 75W, seguiranno quelle 60W fino a quelle di potenza inferiore .
Necessario e ineludibile, questo intervento, nel giro di qualche mese, ha messo in subbuglio aziende e in crisi i clienti, sebbene proprio a questi ultimi vanno i maggiori vantaggi, sia da un punto di vista economico sia da un punto di vista ambientale. È previsto, infatti, che entro il 2020 ciascuna famiglia sarà in grado di risparmiare fino a 25 euro sull’importo medio della bolletta pari al consumo di 11 milioni di famiglie, equivalente a circa 39 miliardi di kWh all’anno (rispetto ai consumi stimati per quella data) pari a 15 milioni di tonnellate di CO2.
Il cambiamento nelle abitudini d’acquisto è tuttavia una delle pratiche più difficili da sradicare. Lo dimostrano i dati del 2009 sul consumo di lampadine: a pochi mesi dall’introduzione della norma in Italia si vendevano annualmente nel canale della grande distribuzione oltre 3.000.000 di lampade a incandescenza da 100 Watt e solo 1.500.000 lampade a risparmio energetico da 18 e 20 Watt corrispondenti ad una 100 Watt a incandescenza.
L’intervento europeo tuttavia non si limita ad agire sulla propensione all’acquisto dei consumatori, ma associa a essa anche una lista di indicazioni a cui produttori, distributori e istituzioni dovevano adeguarsi. Vengono introdotti una serie di requisiti in materia di imballaggio ed etichettatura per fornire al consumatore informazioni chiare sulla vita del prodotto, il consumo energetico, la qualità della luce e sulle modalità di smaltimento. Si, perché a fronte di un notevole guadagno in termini di carico energetico, le lampadine fluorescenti compatte richiedono operazioni di dismissione ad hoc.
I RAEE e le norme per lo smaltimento
Le lampadine fluorescenti compatte sono considerate a pieno titolo parte di quella grande famiglia composta dalle apparecchiature elettriche ed elettroniche per il cui trattamento dello smaltimento è stato coniato l’acronimo RAEE (Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche) . Ne fanno parte anche piccoli e grandi elettrodomestici, computer, dispositivi elettrici ed elettronici, cellulari…
Con l’entrata in vigore della direttiva europea 2002/96, recepita in Italia con il Decreto Legislativo n.151 del 25/7/2005 è stato attribuito ai produttori l’onere di istituire, gestire e finanziare sistemi di raccolta e di trattamento dei RAEE. In generale, il decreto però coinvolge tutti gli attori che entrano in campo nella filiera post-uso del prodotto, in modo da responsabilizzare sia i Produttori, sia i Distributori, sia i Consumatori.
In particolare la normativa prevede:
- la creazione di Sistemi Collettivi a garanzia di comuni, omogenee e uniformi condizioni operative. Essi provvedono al ritiro dei RAEE dai punti di raccolta autorizzati, al loro trasporto presso centri di trattamento selezionati e alle successive attività di riciclo e recupero dei materiali;
- l’applicazione di un eco-contributo pari a 22 centesimi più iva che può essere “visibile” (cioè evidenziato al consumatore in modo separato dal prezzo del prodotto) oppure “internalizzato” (cioè incluso nel prezzo), definito sulla base del costo delle operazioni di raccolta, riciclo e smaltimento;
- la predisposizione da parte di Comuni – o soggetti collegati – di centri di raccolta idonei per il conferimento dei RAEE nonché di note informative a disposizione dei cittadini per agevolare il processo;
- l’organizzazione di un servizio di ritiro gratuito uno a uno da parte della Distribuzione al momento dell’acquisto di un’apparecchiatura analoga (entrata in vigore per Decreto solo nel giugno del 2010).
Il Centro di Coordinamento per lo smaltimento delle lampadine
Il Centro di Coordinamento è l’istituto designato a ottimizzare le attività di competenza dei Sistemi Collettivi, consorzi che raggruppano le aziende che operano nella stessa categoria di prootto. Le lampadine rientrano nella R5 ”sorgenti luminose a scarica: lampade fluorescenti e sorgenti luminose compatte” . Qui sono attivi Ecolamp “per il recupero e lo smaltimento di sorgenti luminose” e Ecolight che “affronta le problematiche ecologiche relative agli apparecchi di illuminazione”.
Con oltre 1.100 imprese consorziate, che rappresentano tutti i comparti interessati dalla normativa, il consorzio Ecolight è il primo sistema collettivo in Italia per numero di consorziati e il terzo per quantità di immesso. Vi fanno parte centottanta aziende produttrici italiane, gli importatori e i più importanti gruppi della grande distribuzione che insieme rappresentano il 90% dell’intero settore.
È proprio su iniziativa di Ecolight che qualche mese fa è nata l’idea di Bulb Box, la scatola di cartone messa a disposizione da Ikea nei suoi 18 punti vendita italiani, da usare per raccogliere le lampadine fluorescenti compatte che non funzionano più e da riconsegnare alla Ikea per lo smaltimento.
Il problema delle modalità e dell’accessibilità dei punti di raccolta al consumatore è uno dei maggiori ostacoli al buon esito dei nuovi processi. A volte la vicinanza/distanza tra la casa o il luogo di consumo e quello in cui gettare il prodotto rappresenta una variabile non indifferente rispetto alla percentuale di successo di operazioni come quelle che coinvolgono la raccolta dei rifiuti.
A questo proposito si impegna soprattutto il Consorzio Ecolamp, a sua volta costituito dalle principali aziende nazionali ed internazionali del settore illuminotecnico attive in Italia. Dal 2004, anno della sua fondazione il Consorzio ha implementato un sistema logistico per la fornitura di contenitori metallici appositamente progettati per la raccolta e il trasporto delle sorgenti luminose in condizioni di sicurezza, Ne esistono 6000 sparsi sul territorio nazionale. E un servizio di ritiro gratuito dedicato agli operatori professionali chiamato Extralamp.
I dati sulla raccolta diffusi dal consorzio mettono fortunatamente l’Italia al passo con gli standard europei: nel periodo compreso tra gennaio 2009 e 4 febbraio 2010 sono state ritirate circa 939.000 chilogrammi di lampadine.
Il ritiro UNO contro UNO
La piazzola ecologica, lo ha dimostrato la storia della raccolta differenziata, delinea un buon modo per insinuare nuove abitudini nel tran tran quotidiano. Molto spesso però non basta e soprattutto non garantisce quella vicinanza che invece è necessaria per incentivare il consumatore.
A questo proposito, il 4 maggio 2010 è entrato in vigore il “Regolamento recante modalità semplificate di gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) da parte dei distributori e degli installatori di apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE), nonché dei gestori dei centri di assistenza tecnica di tali apparecchiature“. In parole semplici, tutti i cittadini, d’ora in poi, potranno consegnare gratuitamente ai negozianti l’apparecchiatura non più funzionante da sostituire, comprese le lampade fluorescenti esauste, quando ne acquisteranno una nuova equivalente. L’operazione coinvolge anche gli altri attori della filiera.
Per il distributore si certifica l’obbligo di: assicurare il ritiro gratuito, in ragione di uno contro uno, dell’apparecchiatura usata e consegnata dal cliente al momento dell’acquisto di una nuova apparecchiatura equivalente e provvedere al trasporto dei rifiuti ritirati presso i centri di raccolta comunali. Mentre gli installatori possono ritirare gratuitamente l’apparecchiatura usata e sostituita al cliente provvedendo al trasporto.
Il sistema concentra in sé molti vantaggi organizzativi e logistici, anche se al momento soffre di una scarsa alfabetizzazione da parte dei commercianti e di una scarsa preparazione dei Comuni a coordinarli con i centri di raccolta. Eppure c’è da dire che l’Italia, dati alla mano, sta nonostante tutto raggiungendo ottimi risultati: i numeri parlano di circa 4 chilogrammi di RAEE a persona con un raddoppio della quantità nel corso degli ultimi due anni.
Nel frattempo alcune aziende private come l’italiana Wiva Group hanno colto l’opportunità offerta dal mercato delle lampadine smaltite per progettare e mettere in commercio una lampadina realizzata con i materiali di altre lampadine a fluorescenza che pur contenendo la metà del mercurio assicura una durata pari a sette volte quella di una a incandescenza.
Non mancano poi le iniziative di creatività dal basso che hanno fatto delle vecchie lampadine a incandescenza la base per nuove e fantasiose idee di design decorativo: dalle eco-lampade alle saliere e pepiere fino alle opere d’arte, non c’è fine alle possibilità di riutilizzo dell’oggetto simbolo del guizzo di genio.
Vademecum all’acquisto delle nuove lampadine
Agire sulle modalità di smaltimento rappresenta solo l’ultimo passaggio di un percorso di ripensamento del prodotto che comprende innanzitutto una valutazione accurata e ragionata da parte dell’acquirente al momento dell’acquisto. La diversificazione dell’offerta, l’incorrere di nuove regole e normative che informano sulle caratteristiche del prodotto e il contesto d’uso rappresentano parametri che infittiscono il processo di scelta, ma d’altro canto consentono di compiere acquisti economici ed efficienti.
Come detto in precedenza, la normativa europea del 2008 ha stabilito che il packaging delle lampadine deve esporre sull’esterno una serie di informazioni standard che aiutano il cittadino a orientarsi sulle differenze tra una lampadina e l’altra. In particolare, esse si riferiscono al rendimento dell’emissione luminosa, all’efficienza energetica, alla durata e al colore della luce.
Emissione luminosa (in lumen)
Grazie all’indicazione del rendimento in lumen – che sostituisce quello in watt -, si può confrontare immediatamente la quantità di luce emessa dalle lampadine. Per avere l’equivalente di una lampadina a incandescenza da 100W bisogna sceglierne una da 1300-1400 lumen. E così 75W corrispondono a 920-970 lumen, 60W a 700-750, 40W a 410-430 e 25W a 220-230.
Efficienza energetica
È individuabile sulla base della nota classificazione alfabetica in ordine decrescente per la quale è previsto che, per la stessa emissione luminosa, una lampada fluorescente compatta sia di classe A rispetto a una lampadina a incandescenza migliorata classificata come di classe C. Scegliendo i prodotti più efficienti si può quindi risparmiare un bel po’ di soldi.
Durata
La vita utile di una lampadina è il numero di ore in cui funzionerà prima di esaurirsi. La media di quelle a incandescenza è di 1000 ore l’anno, presumendo tre ore di accensione al giorno. La durata di funzionamento media delle lampadine fluorescenti compatte o dei LED è generalmente di 15000 ore. Per alcune lampade fluorescenti compatte, però, anche il numero di volte in cui vengono accese e spente ha un’incidenza sulla vita utile.
Colore della luce (temperatura di colore)
Mentre la luce prodotta dalle lampadine a incandescenza ha sempre lo stesso colore “bianco caldo”, le lampadine fluorescenti compatte e i LED offrono una grande varietà di temperature di colore (espresse in kelvin). Si può scegliere tra diverse possibilità: minore è la cifra meno forte è l’intensità della luce. Per esempio: servono 2700°K per una luce “bianca calda” o 4000°K per avere una luce “bianca fredda”.
La lettura dell’etichetta non può prescindere da una corretta valutazione del luogo e della funzione che la luce andrà ad assolvere. I luoghi sottoposti ad accensioni e spegnimenti frequenti come bagni e corridoi necessitano di lampadine fluorescenti compatte speciali che consentono di arrivare anche a un milione di commutazioni senza perdere efficienza. Lo standard raggiunge una media di 3000/6000 azioni che uno spazio di questo genere esaurisce in minore tempo. Al contrario, i bassi numeri sono adatti per ambienti come le stanze da letto o gli spazi in esterni come cantine o box auto.
Incide sulla buona resa di una lampadina anche la temperatura esterna. Per un uso in luoghi sottoposti a inverni molto freddi è bene valutare l’acquisto di lampadine che resistano al gelo, altrimenti l’emissione sarà decisamente ridotta durante il periodo invernale. Infine è necessario valutare anche il fatto che le lampade a fluorescenza richiedono un tempo di avvio e di riscaldamento superiore a quelle tradizionali o ai LED. Ciò implica scelte calibrate a seconda delle situazioni di illuminazione immediata che sono necessarie.
La ricerca e l’innovazione applicata alla luce
La sperimentazione sui sistemi di illuminazione, è proprio il caso di dirlo, viaggia alla velocità della luce. L’adeguamento alle normative, l’eco-compatibilità necessaria e la tecnologia che trova soluzioni sempre più facili da applicare ha permesso di far evolvere il mondo dell’illuminotecnica non solo dal punto di vista dell’involucro del prodotto ma anche di una maggiore integrazione tra effetto luminoso e materia avvolgente. Molte grandi aziende specializzate in apparecchi luminosi, inizialmente impaurite dal forzato cambio di rotta, hanno messo a punto reparti di Ricerca & Sviluppo con i quali immettere sul mercato idee e prodotti nuovi.
Neanche le grandi fiere di settore come la biennale Euroluce riescono ormai a rincorrere le frequentissime novità di settore () .
I primi interventi hanno fin da subito cercato di convertire i vecchi prodotti. Nel 2009 la storica Artemide anticipa tutti progettando una versione eco della Tolomeo di Michele de Lucchi del 1986 sostituendo la fonte incandescente in fluorescente, dimostrando così come sia possibile rispettare le normative senza stravolgere i prodotti. Da quel momento Artemide inizia un percorso di adeguamento delle strategie e pratiche progettuali da adottare nel processo interno di sviluppo: dalla collaborazione con il Politecnico di Torino all’acquisizione di Nord Light , l’Azienda all’avanguardia nel settore dei LED.
Con lei molte altre aziende stanno inseguendo le potenzialità del LED che a furor di popolo conquista risultati e si adegua ai progetti più disparati. Nata come tecnologia secondaria, poiché non idonea a un’illuminazione diffusa, ha lentamente conquistato i light designer migliorando le prestazioni e i costi, tanto da diventare una delle soluzioni più diffuse per abbassare l’impatto delle grandi opere e manifestazioni. Le potenzialità del LED, infatti, non si limitano all’illuminotecnica di consumo ma sono particolarmente indicate per tutti quegli ambiti pubblici o privati che richiedono numeri molto elevati di corpi illuminanti e sistemi di connessione complessi. Dagli impianti delle aziende ai cimiteri, esiste un mondo fatto di luoghi da convertire e il cui passaggio a forme di illuminazione più efficiente aiuterebbe l’ambiente tanto quanto la sensibilizzazione di milioni di famiglie.
Due casi sono esemplificativi del cambiamento in corso. La nuova stazione di Porta Susa a Torino, destinata a diventare un polo ferroviario internazionale, è stata completamente illuminata da 60.000 led Cree XLamp con un risparmio del 22% sui costi dedicati all’energia dell’area. La progettazione illuminotecnica del Salone del Gusto, appena concluso, ha previsto, tra le soluzioni approntate per abbassare l’impatto ambientale dell’evento, la presenza di LED forniti da Ilti Luce e lampade a fluorescenza Philips.
Il futuro è OLED
Qualche mese fa a Milano è stato presentato il primo Orbeos, l’ Oled Osram. Si tratta di una piccola “mattonella” in grado di creare spazi luminosi del diametro di 80 millimetri e del peso di 24 grammi. La particolarità di questo prodotto è che non contiene mercurio ed è privo di emissioni Uv/Ir e in condizioni ideali ha una durata di circa 5 mila ore.
Ma cosa è l’OLED? È l’acronimo di Organic Light Emitting Diode ovvero diodo organico a emissione di luce. È una tecnologia che permette di realizzare display a colori con la capacità di emettere luce propria. Fino a questo momento utilizzata soprattutto per le superfici delle tv di nuova generazione, sono ora in produzione display flessibili e arrotolabili, pannelli illuminanti per esterni e interni che potrebbero rendere le nostre pareti delle grandi fonti di luce.
Che questa tecnologia prometta bene lo testimonia anche il fatto che una giovane compagnia gallese che si occupa esclusivamente di OLED, la Lomox Limited , abbia ricevuto dal governo un sostanzioso contributo di quasi mezzo milione di sterline (450.000 per l’esattezza) per la ricerca e lo sviluppo in materia. Sembra che essa stia sviluppando un processo produttivo che abbatte i costi e riduce di un’ulteriore 50% la luce dispersa contribuendo a rendere questa soluzione una tra le più efficienti del prossimo futuro.