Questo sarà il mio ultimo articolo con greenMe.it. Da quando ho cominciato a scrivere per questa webzine il pubblico è cresciuto mese dopo mese a un ritmo davvero impressionante, e il merito credo sia stato un po' di tutti, articolisti, redattori e lettori. Sento di aver dato anch'io un contributo significativo alla diffusione delle cosiddette tematiche green. A distanza di un anno, tuttavia, è proprio quest'ultimo termine ad apparirmi sotto una diversa luce, e vorrei che le mie riflessioni diventassero una sorta di saluto a un pubblico mai incontrato: voi.
Il succo del discorso, o meglio, la morale della favola, è qui di seguito riassunta in poche parole: stiamo attenti. In che senso? In molti sensi. Prima di tutto stiamo attenti all’ambientalismo estremo, di chi rinuncia a farsi una doccia per risparmiare pochi litri d’acqua quando basterebbe fare a meno di una bistecca per risparmiarne migliaia, e ancor più di chi non mangia carne né usa la doccia perché è affetto da quella smania di ecocondotta assoluta e cieca che ricorda alla lontana l’integralismo religioso. Una smania dalla quale nessuno è immune, simile per certi versi a quel disturbio alimentare chiamato ortoressia. Il rischio è quello di cadere in una ragnatela di divieti autoimposti che ammesso e non concesso aiutino il Pianeta non aiutano certo il nostro equilibrio mentale.
Stiamo attenti inoltre a trarre conclusioni non nel breve ma nel lungo periodo, senza scoraggiarci di fronte a notizie allarmanti di genere fantascientifico. È vero, la colpa è quasi sempre dei media, ma i media molto spesso ingigantiscono ricerche scientifiche già farlocche per conto loro, ricerche di scienziati in cerca di pubblicità e finanziamenti. È il lettore a dover assumere un ruolo attivo, riconoscendo grazie alla propria cultura, intelligenza, esperienza e perspicacia l’odore del pesce andato a male. I tasti “mi piace”, “tweet” e altri di condivisione in generale servono proprio a questo: non abusiamone o ci giocheremo quel poco di utilità che possiamo dare loro.
E soprattutto stiamo attenti a loro: le aziende, i grandi marchi, le multinazionali. In alcuni dei miei articoli ho avuto modo di notare la straordinaria abilità nel riciclare sé stessi che stanno dimostrando un po’ tutti, dalle piccole realtà ai brand globali. Non parlo del solito greenwashing tutto sommato innocuo e quasi sempre messo all’indice dal mondo dell’informazione, soprattutto quella online. Il problema è che i produttori di energia elettrica, automobili, high tech e via dicendo, se fino all’altro giorno hanno inquinato mezzo mondo pagando solo le briciole di ridicoli risarcimenti, ora all’improvviso ecco che propongono linee di consumo sostenibile, capi di abbigliamento ecocompatibile, accessori green di ogni tipo, spesso del tutto superflui. Ci stiamo insomma consegnando nelle mani dei soliti noti, a volte spinti dalla buona fede e a volte per pigrizia o becera omologazione.
La domanda che mi sono posto è come uscirne. Dal mio umile punto di vista se ne esce seguendo i consigli di chi ci ha preceduto, e ha detto, ad esempio: cambia te stesso se vuoi cambiare il mondo. Il consumismo che ci ha gettati in questo abisso non può semplicemente cambiare pelle come un serpente, dev’essere cacciato a pedate e stampato nei libri di storia che studieranno le prossime generazioni. La scelta non è tra auto a biodiesel e auto a batteria, la scelta è tra auto e bicicletta. Allo stesso modo per moltissimi altri settori: non energia pulita o sporca, ma energia elettrica o forza delle braccia, delle gambe e interruttori spenti. Non mobili in legno certificato o mobili in legname del Congo, ma mobili nuovi o riciclo dei vecchi.
Consumare green causa comunque emissioni di gas serra, spreco di risorse, impiego di manodopera spesso sfruttata, e soprattutto un giro d’affari milionario per gente che il più delle volte si è arricchita in modi spregevoli. La vera green revolution siamo noi, non i gadget ecofriendly, i computer con scocca in amido di mais, gli occhiali da sole biodegradabili e un’infinità di altri prodotti figli di un consumismo altrettanto degradante. Certo: non sarà facile rinunciare a una legge – consumare e ancora consumare – che da ormai quarant’anni a questa parte ci viene inculcata fin da piccoli… eppure, che sia green o meno, non credo esista o esisterà mai altra rivoluzione degna di questo nome.