Possiamo tirare un piccolo sospiro di sollievo. A Genova è stato evitato il peggio. Dopo il cedimento della conduttura dell’impianto della Iplom che porta fino alla raffineria di Busalla, l’intervento dei tecnici ha scongiurato il disastro che tutti temevano. Il petrolio si è riversato nel Polcevera ma il suo tragitto verso il mare, per fortuna, è stato interrotto in tempo (foto). Lo stato di emergenza è stato revocato, almeno ufficialmente, ma resta l’amarezza di chi popola quella zona, che già teme l’abbandono e una bonifica che potrebbe richiedere tempi lunghissimi. Si teme l’oblio, mentre disastri come questo si potrebbero evitare con una svolta reale che ridia respiro alle nostre città minacciate dalle fonti fossili. Quante altre volte dovrà accadere?
Possiamo tirare un piccolo sospiro di sollievo. A Genova è stato evitato il peggio. Dopo il , l’intervento dei tecnici ha scongiurato il disastro che tutti temevano. Il petrolio si è riversato nel Polcevera ma il suo tragitto verso il mare, per fortuna, è stato interrotto in tempo (foto). Lo stato di emergenza è stato revocato, almeno ufficialmente, ma resta l’amarezza di chi popola quella zona, che già teme l’abbandono e una bonifica che potrebbe richiedere tempi lunghissimi. Si teme l’oblio, mentre disastri come questo si potrebbero evitare con una svolta reale che ridia respiro alle nostre città minacciate dalle fonti fossili. Quante altre volte dovrà accadere?
Genova è una città costretta a convivere con il dissesto idrogeologico e problemi ambientali generati dalle attività umane. Purtroppo si fatica ad intravedere nel prossimo futuro un vero cambiamento che possa rendere questa città una vera smart city, europea, capace di proiettarsi come esempio di innovazione e green management. Eppure le potenzialità ci sarebbero.
I genovesi ricordano bene il disastro della Haven affondata al largo di Arenzano, un danno a cui non si è rimediato totalmente, incarnato dal relitto ancora presente sul fondale. E ricordano le alluvioni degli ultimi anni, i torrenti coperti dal cemento degli anni dell’industrializzazione e che si ribellano, esplodono, complice una manutenzione troppo poco sistematica. Per non parlare dell’Ilva, di quartieri segnati dall’acciaio per sempre che stentano a trovare una nuova vita, proprio là dove il Polcevera finisce la sua corsa in mare.
Quel mare è stato salvato, le chiazze di petrolio che nei giorni scorsi erano state avvistate al largo pare siano ormai un ricordo, così come dichiarato dopo le ricognizioni delle unità navali e dei mezzi aerei della Guardia Costiera. Sono intervenuti sia mezzi della Iplom che quelli Castalia inviati dal Ministero dell’Ambiente. Anche dalla Francia, dalla Costa Azzurra, si temeva il peggio, ma il disastro più grande è stato evitato.
Lentamente, anche i media smettono di parlare di allarme e le telecamere si allontanano sempre di più da Genova. “L’intensa azione combinata tra le operazioni di contenimento e bonifica svolte dalle maestranze e dai mezzi terrestri presso la foce e lungo il corso del Torrente Polcevera e le operazioni di recupero delle chiazze oleose a mare svolte dai mezzi navali, costieri e d’altura, ha avuto la meglio sullo sversamento di petrolio che, iniziato la sera di domenica scorsa 17 aprile, a causa della rottura dell’oleodotto Iplom nella zona del Rio Fegino, poi riversatosi nel Torrente Polcevera, ha in parte interessato anche il litorale del ponente ligure“, dicono dalla Direzione Marittima di Genova.
Il problema resta per le zone dei torrenti Pianego e Fegino, là dove i residenti sono stati spettatori impotenti della rottura della conduttura della Iplom e dove ora si lavora per bonificare i rii dai residui di petrolio e per evitare che altre sostanze si riversino nel Polcevera. Proprio questa mattina anche il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti si è recato sul posto per un sopralluogo e ha dichiarato che nei prossimi giorni si valuterà l’ingenza del danno per poter pensare al progetto di bonifica. Ma “è ancora troppo presto per poter dare delle scadenze”. E Galletti punta il dito contro un problema tutto italiano: “Chi inquina paga, è nella legge italiana, tuttavia credo che nel nostro Paese ci sia un problema di controlli che funzionano senza omogeneità. Stiamo approvando una legge in Parlamento in via definitiva che dà la possibilità all’Ispra, l’agenzia nazionale di protezione ambientale, di dettare delle regole sui controlli”.
Per pulire gli alvei ci vorranno settimane, prima delle bonifica in senso stretto, con un piano della Iplom che dovrà essere approvato dalla conferenza dei servizi. Se tutto andrà come si spera, in un anno si rimedierà all’incidente. Almeno sulla carta. Ma occorrerà capire quanto in profondità siano arrivate le sostanze oleose. La situazione non è semplice, dunque. Anche Santo Grammatico, Presidente di Legambiente Liguria, ricorda che “bisogna tenere alta la guardia sui lavori di bonifica. Se il vento dovesse girare il petrolio non scompare. Bene che sia finita l’emergenza ma bisognerà fare attenzione per qualche settimana. Bisogna capire quanto sotto terra è andato il petrolio. In caso di caldo secco i vapori potrebbero salire. Questo petrolio è pesante, è necessario rimuovere tutta la terra, pulirla con acque solventi, e portare della nuova terra. Continueremo a monitorare la situazione, imposteremo un ragionamento. Va compresa la relazione tra le fonti fossili e la nostra società. Oggi sono evidenti i limiti che questo comporta”.
Testo e foto di Anna Tita Gallo
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