Copenhagen 2009: le posizioni di tutti i Paesi al giro di boa della conferenza

Giro di boa della 15° Conferenza ONU sul clima di Copenhagen che, dopo una settimana di trattative, polemiche e manifestazioni di protesta - alcune delle quali sfociate anche in violenti tafferugli che hanno portato all'arresto di quasi mille persone - dentro il Bella Center della città danese a che punto siamo? Proviamo a tirare le somme all'inizio della settimana cruciale dalla quale si dovrebbe giungere a quell'accordo vincolante per tagliare le emissioni in grado di sostituire il Protocollo di Kyoto e obbligare i Paesi firmatari a ridurre i propri gas serra, nonché contribuire al trasferimento e alla diffusione delle migliori tecnologie anche ai Paesi in via di Sviluppo.

Giro di boa della 15° Conferenza ONU sul clima di Copenhagen che, dopo una settimana di trattative, polemiche e manifestazioni di protesta – alcune delle quali sfociate anche in violenti tafferugli che hanno portato all’arresto di quasi mille persone – dentro il Bella Center della città danese a che punto siamo? Proviamo a tirare le somme all’inizio della settimana cruciale dalla quale si dovrebbe giungere a quell’accordo vincolante per tagliare le emissioni in grado di sostituire il Protocollo di Kyoto e obbligare i Paesi firmatari a ridurre i propri gas serra, nonché contribuire al trasferimento e alla diffusione delle migliori tecnologie anche ai Paesi in via di Sviluppo.

Stipulato nel dicembre 1997, il Protocollo di Kyoto, che scadrà a dicembre del 2012, è attualmente l’unico documento internazionale giuridicamente vincolante in materia di cambiamenti climatici e prevede, per i paesi firmatari, una riduzione mondiale delle emissioni inquinanti di almeno il 5% nel 2012 in rapporto al 1990.

CINA-INDIA-BRASILE-SUDAFRICA-SUDAN: Fedele al Protocollo di Kyoto, la posizione congiunta presentata da questi Paesi che, capitanati da Cina e India, hanno redatto un documento in risposta alla bozza di accordo preparata dalla presidenza danese, giudicata fin dall’inizio “inaccettabile” dai Paesi più poveri, consiste in una richiesta di rafforzamento del trattato firmato nella città giapponese. Ciò significa, estendendo i parametri di Kyoto al 2020 e moltiplicandoli dunque per 8 (gli anni che separano il 2012, data di scadenza del protocollo, alla nuova data di riferimento del 2020) un taglio del 40% delle emissioni di CO2 rispetto al 1990. Il testo pubblicato nei giorni scorsi da Le Monde, si pone come obiettivo primario quello di limitare nei prossimi due anni a due gradi l’aumento della temperatura media del pianeta e chiede espressamente “ai Paesi industrializzati che non hanno sottoscritto il Protocollo” (Stati Uniti in primis) di assumere gli stessi impegni, sottoscrivendo il trattato.

È proprio agli Usa che si appella la Cina, rivolgendosi direttamente al presidente Barack Obama per trovare un accordo concreto al vertice di Copenhagen ponendo come condizione l’aumento del taglio messo sul piatto della bilancia da parte dei Paesi più industrializzati, ma offrendo in cambio un ruolo costruttivo nei negoziati e la disponibilità a contribuire ad aiutare le nazioni in via di Sviluppo con le nuove tecnologie verdi, in modo che non siano interamente a carico dei Paesi industrializzati.

Conferenza di Cophenagen

La bozza prevede infatti una forma di aiuto finanziario ai Paesi poveri attraverso l’istituzione di un “Fondo globale del clima” gestito dall’ONU – e non di una Banca Mondiale come suggerito dagli USA – che operativamente si avvarrebbe dell’attuale “Fondo per l’ambiente mondiale“, già esistente da oltre dieci anni. A prescindere dalla bozza preparatoria comune, nel concreto ecco l’impegno chiesto ai paesi industrializzati e quello messo offerto dai singoli stati della coalizione che è sono stati espressi in questi giorni:

  • CINA: Secondo Pechino, i Paesi ricchi entro il 2020 dovrebbero tagliare le loro emissioni del 25-40% sotto i livelli del 1990. Di contro offre di ridurre l’intensità carbonica del 40-45 per cento entro il 2020 rispetto però ai livelli del 2005. Il capo negoziatore cinese Xie Zhenhua auspica un accordo finale vincolante, ma giudica “molto buona” anche una calendarizzazione per il nuovo trattato entro giugno.
  • INDIA: ha annunciato la volontà di tagliare del 20-25% entro il 2020 le emissioni di carbonio rispetto al 2005
  • BRASILE: i tagli di CO2 garantiti dal Brasile vanno dal 36,1 e il 38,9 per cento entro il 2020
  • STATI UNITI: come annunciato dal Presidente Barak Obama, l‘impegno che gli USA presenteranno a Copenhagen il 18 dicembre si concretizzano in una riduzione delle emissioni del 17% entro il 2020, prendendo però come riferimento il 2005 (dunque rapportato al 1990 rappresenterebbe un taglio del 3%) e, sul lungo termine, un taglio di emissioni di oltre l’80% rispetto ai livelli attuali entro il 2050. Garantiti anche gli aiuti economici per i Paesi in via di sviluppo. Così mentre il Senato Usa sta discutendo il taglio del 20% delle emissioni entro il 2020, dall’Agenzia americana dell’Ambiente (Epa) e in particolare da Lisa Jackson, arriva il riconoscimento ufficiale della CO2 come pericolo per la salute. Ma Obama deve fare i conti anche con l’ala di estrema destra che sta osteggiando qualsiasi intervento in materia di cambiamenti climatici. A guidare la corrente repubblicana che chiede il boicottaggio del vertice di Copenhagen Sarah Palin, ex governatrice dell’Alaska la quale sul Washington Post ha esternato tutto il suo disappunto alle politiche di riduzione delle emissioni: “Il presidente propone tagli consistenti delle emissioni, che provocheranno perdite di posti di lavoro e aumento delle tariffe energetiche. Non esattamente quello che gli americani si aspettano in questi giorni di crisi“.
  • UNIONE EUROPEA: i fondi messi a disposizione dall’Europa per aiutare i paesi in via di sviluppo ammontano a 7,2 miliardi di euro, alla quale l’ITALIA contribuirà con 600 milioni. Il nostro Paese, rappresentato per il momento dal Ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, appoggia in pieno la posizione dell’Ue sulla base del pacchetto 20-20-20 (una riduzione del 20% delle emissioni per il 2020 rispetto al 1990) ed è disposto ad accettare un taglio di Co2 del 30% solo se viene a sussistere un accordo globale da parte di tutti i Paesi industrializzati.

Questo innalzamento degli obiettivi dell’Europa è fermamente portato avanti da FRANCIA e GRAN BRETAGNA con Nicolas Sarkozy che, secondo quanto dichiarato dal suo ministro per l’Ambiente, Jean Louis Borloo, vorrebbe portare “al più presto possibile” la posizione europea verso una riduzione del 30% delle emissioni di gas serra. Pressa per la stessa finalità anche Londra, ma il presidente francese che sarà a Copenaghen il 17 e 18 dicembre, si impegnerà “a morte” per la creazione di una organizzazione mondiale dell’Ambiente, incaricata di far applicare le promesse del summit di Copenaghen, secondo un responsabile del Wwf.

Anche dalla RUSSIA, arrivano segnali di “buona volontà”: il Cremlino fa sapere che è disposto a superare il Protocollo di Kyoto e tagliare le emissioni di CO2 del 25%. Confermata poi la partecipazione del presidente russo Dmitri Medvedev nella capitale danese alla fine della prossima settimana anche perché sarà l’occasione per firmare con gli USA il nuovo Start, il Trattato sulla riduzione delle armi strategiche di teatro scaduto lo scorso 5 dicembre.

Questa dunque la situazione dalla quale si partirà in questi ultimi 5 giorni per cercare di avvicinare le varie posizioni e trovare finalmente un accordo che sia politicamente e non solo formalmente vincolante per ridurre le emissioni. Palla al centro, dunque, anche perché lo sprint finale ci sarà alla fine della settimana quando giungeranno a Copenhagen oltre 100 leader e capi di stato provenienti da tutto il mondo, è a loro che riponiamo le speranze per centrare l’obiettivo. Ma speriamo che in questi giorni si mettano arrivino degli “assist” in grado di far segnare il gol più importante per il nostro Pianeta.

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