Snaturati, impoveriti, boicottati, abbandonati, smantellati. Questa la situazione dei consultori in Italia, a 40 anni esatti dall’approvazione della legge 194, che ha depenalizzato e regolato l’interruzione volontaria di gravidanza
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Snaturati, impoveriti, boicottati, abbandonati, smantellati. Questa la situazione dei consultori in Italia, a 40 anni esatti dall’approvazione della legge 194, che ha depenalizzato e regolato l’interruzione volontaria di gravidanza.
Sopravvivono a stento, finiti nel mirino dei tagli della sanità pubblica e schiacciati dalla drastica riduzione del personale.
Gli operatori, infatti, sono spesso costretti a ruotare su più strutture e, se mancano, può capitare che il consultorio intero chiuda. La colpa è soprattutto della mancanza di turn over, che di fatto non ha permesso a chi va in pensione di essere sostituito.
Il risultato? Sempre meno servizi per gli utenti. Liste di attesa sempre più lunghe. Così le donne non utilizzano più i consultori e sono costrette a rivolgersi al privato.
Pensare che secondo la legge n. 34/96 dovrebbe esserci un consultorio familiare ogni 20.000 abitanti.
Ma la realtà è molto lontana da questo obiettivo. E i numeri, invece di aumentare, diminuiscono vertiginosamente in tutta Italia. Se va bene, le strutture sono aperte massimo 2 volte a settimana il pomeriggio, quasi mai il sabato mattina. Così, per chi lavora o chi va a scuola il consultorio diventa di fatto inaccessibile.
Come sono nati i consultori
Partirono come una straordinaria esperienza socio-sanitaria, erano luoghi d’incontro e di dibattito delle donne per le donne. I professionisti, come ginecologi, psicologi, assistenti sociali, pediatri, le prendevano in carico ed educavano alla prevenzione i più giovani. Erano sempre aperti, come veri spazi di accoglienza e assistenza alla famiglia e alla maternità.
Il consultorio familiare ha assunto inoltre un ruolo centrale nell’ambito della tutela sociale della maternità e dell’interruzione volontaria della gravidanza. Infatti proprio la Legge del 22 maggio 1978, n. 194, oggi messa a dura prova dai medici obiettori, ai consultori affida il compito di garantire la possibilità di abortire.
“I consultori erano aperti sempre, dal lunedì al sabato. In alcuni le donne venivano seguite addirittura a domicilio o in ospedale, soprattutto in caso di applicazione della 194 a donne minorenni. Personalmente seguivo nel parto anche le donne con problemi psicologici. Inoltre, si andava nelle scuole e si lavorava molto sull’educazione sessuale e all’affettività e sulla prevenzione delle malattie infettive, allo stesso tempo ospitavamo gruppi di scolaresche nei nostri locali, in collaborazione con le Istituzioni. Il consultorio era un luogo laico di accoglienza e di incontro”, ricorda Ada Scipioni, ostetrica classe 1933, che nel 1982 contribuì alla fondazione del Consultorio Via San Godenzo, a Roma.
Di tutto questo cosa è rimasto? Solo il grande spirito di dedizione alla causa di alcuni operatori particolarmente motivati.
Quanti consultori ci sono in Italia?
Nel 2016 i consultori familiari funzionanti in Italia erano 1944. In proporzione al numero di abitanti, la percentuale nazionale è dello 0,6 ogni mille, in pratica la metà di quanto prevede la legge. Ma l’ultimo documento ministeriale disponibile è del 2012. In questo caso, era il Nord Ovest a guadagnarsi la maglia nera con Lombardia, Trentino Alto-Adige e Friuli che contano meno di un consultorio pubblico per 10mila donne tra i 15-49 anni. Stesso scenario in Molise. Al Centro-Sud e Isole i consultori privati quasi non esistono, in Lombardia e Friuli-Venezia Giulia invece risultano un quarto del totale (56 su 209 e 6 su 22, rispettivamente) – mentre in Alto-Adige lo sono la totalità (14 su 14).
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Le assemblee delle donne
Il Consultorio è diventato una specie in via di estinzione da difendere. Per fare in modo che questo spazio dedicato alla prevenzione e alla tutela della salute delle donne torni ad essere un luogo di partecipazione, dove le donne possono prendere parola, proporre e agire, stanno nascendo in tutta Italia le Assemblee delle donne, previste dalla stessa legge che ha istituito i Consultori, ma di cui nel tempo si era persa memoria.
È accaduto anche a Centocelle, quartiere nella periferia di Roma, dove le mamme che frequentano il consultorio familiare di via delle Resede 1 si sono autoconvocate e riunite in assemblea, mobilitate da una possibile chiusura per lavori di riqualificazione, di cui ad oggi di fatto non si sa ancora nulla.
“La struttura, che è anche Comunità Amico del Bambino riconosciuta dall’Unicef, ha delle peculiarità che sono diventate negli anni un servizio sociale ulteriore ed essenziale, grazie, in particolare, ai corsi preparto, agli ambulatori per accompagnare le madri nell’allattamento e a tutte le molteplici occasioni che vengono create per dare alle mamme la possibilità di fare rete tra loro”, spiegano le donne.
Un’ancóra di salvezza per scongiurare solitudine, baby blues e depressione post parto.
Chi decide delle nostre vite? La manifestazione
Schierate al loro fianco anche le attiviste di Non una di meno, che il 26 maggio scenderà nelle piazze per rompere l’isolamento a cui sono costrettele donne quando affrontano l’aborto o quando scelgono la maternità per una sessualità libera, la contraccezione gratuita e la libertà di scegliere (clicca qui per l’evento Facebook).
Il manifesto per i consultori
Le donne dell’assemblea del conssultorio Resede 1 di Roma, in nome dei consultori tutti, chiedono:
- Rilancio dei consultori familiari. Crediamo sia fondamentale che i consultori tornino ad essere luoghi d’incontro e di dibattito delle donne, luoghi di formazione ed autoformazione, oltre che centri erogatori di servizi.
- Potenziamento dei servizi sanitari offerti alle donne, contro la privatizzazione del diritto alla salute
- Sblocco del turnover, con sostituzione del personale andato in pensione e di prossimo pensionamento, soprattutto psicologi e assistenti sociali
- La presenza di tutte le figure professionali previste per legge (cosi come dal DCA Zingaretti 2014) nell’equipe di ogni consultorio
- Allungamento dell’orario per poter fare offerta attiva di servizi sulla nascita, il puerperio, l’allattamento e la prevenzione dei tumori, e per offrire orari di apertura che coprano l’intero arco della giornata e della settimana, mentre attualmente, invece, non si consente alle donne lavoratrici la possibilità di usufruire dei servizi erogati.
- Il recupero di progetti di educazione e sessualità e all’affettività rivolti ai giovani in collaborazione con le scuole
- La riapertura degli spazi dedicati ai giovani
- Il recupero dello spirito originario dei consultori come spazi dedicati all’ascolto delle persone, considerate nella loro interezza psicoficica
- La costituzione di un tavolo di discussione e confronto tra i rappresentanti delle assemblee delle donne e le Regioni
In un’epoca di solitudine collettiva, in cui le cronache ci parlano di femminicidi e di tragedie familiari che sono fallimenti sociali, la lotta per scongiurare lo smantellamento di questi servizi, è importante oggi più che mai. Come riportato anche nel Piano Femminista di Non una di meno, i consultori andrebbero risignificati come spazi politici, culturali e sociali oltre che come servizi socio-sanitari, valorizzando la loro storia di luoghi delle donne per le donne.
Unici presidi socio-sanitari ad accesso gratuito, in un’ottica di privatizzazione, i Consultori sono il primo servizio ad essere tagliato.
Solo chi ha i soldi potrà curarsi?
“Vogliamo consultori che siano spazi laici. Politici, culturali e sociali oltre che socio-sanitari. Ne promuoviamo il potenziamento e la riqualificazione attraverso l’assunzione di personale stabile e multidisciplinare. Incoraggiamo l’apertura di nuove e sempre più numerose consultorie femministe e transfemministe, intese come spazi di sperimentazione, auto-inchiesta, mutualismo e ridefinizione del welfare”, dice Non una di meno.
Cosa puoi fare tu?
Indici un’assemblea delle donne nel consultorio di zona. Si tratta di un organo di proposta e controllo formato delle donne del territorio, che si riuniscono negli stessi locali dei presidi sanitari, e non necessita di alcun tipo di formalizzazione istituzionale.
“Ciascuna Regione, dando attuazione alle legge nazionale sui consultori, ha previsto queste assemblee, per le quali non è previsto nessuna adempimento formale. In pratica, si costituiscono di fatto autoconvocandosi. L’assemblea può coinvolgere anche gli operatori del Consultorio. In mancanza di recepimento da parte delle Asl delle diverse leggi Regionali di riferimento, che istituiscono le assemblee, è opportuno dare comunicazioni formale qualora si voglia convocare un’assemblea delle donne, indicando date e orario di svolgimento della stessa”, conclude Antonella Sassone, avvocato e membro dell’assemblea delle donne Resede 1.
Roberta Ragni