A differenza di quanto si è portati a pensare, lo sviluppo della produzione di compost nel mondo sarà dovuto all'innovazione industriale non agroalimentare.
A differenza di quanto si è portati a pensare, lo sviluppo della produzione di compost nel mondo sarà dovuto all‘innovazione industriale non agroalimentare.
Recentemente ho avuto modo di leggere un’interessante pubblicazione sponsorizzata anche dall’assessorato all’agricoltura della Regione Veneto dedicata al tema della produzione del compost di qualità.
Oltre ad una descrizione intelligibile anche ai profani, su cosa è e come si ottiene il compost domestico (in questo caso agisce la natura) e industriale (la materia organica deve trasformarsi al massimo in 90 gg ), nel rapporto sono pubblicati dati e tesi estremamente eloquenti sulla sua crescente importanza.; importanza “sociale” prima che economica. La conclusione è comunque una: il compost è un’opportunità intelligente per contribuire alla sostenibilità del Pianeta.
Da questo rapporto emerge che trasformare rifiuti organici in compost non è solo un fatto tecnico (rifiuti urbani a minor costo) ma è un fatto culturale che, piaccia o no anche ai più schizzinosi, poggia i suoi cardini direttamente nella storia dell’evoluzione dell’umanità. Infatti cosa ha consentito all’umanità di arrivare sino a noi è proprio il rifiuto più umile prodotto dalla Natura; prosaicamente si può affermare che non sono state le patate o il mais che ha salvato l’umanità nei momenti più difficili, ma chi le ha consentito di crescere rigoglioso e in modo ripetuto sugli stessi terreni (alcuni sono coltivati da millenni). Sto parlando del rifiuto più umile: il letame – produttore di vita (grazie alla ricchezza dei batteri della decomposizione che essa contiene).
E il rapporto di cui sopra, porta proprio in evidenza come la diminuzione degli allevamenti in Italia e quindi il calo della produzione di letame, abbia una diretta conseguenza sulla fertilità dei suoli, sulla loro capacità di rigenerare vita: la massa biologica , la cui morte (oserei dire sterminio) è dovuto all’inevitabile ricorso ai fertilizzanti chimici che rendono salati i suoli, che richiedono sempre più acqua per diluire i sali che si accumulano nel terreno, che bruciano la preziosa flora batterica. Una spirale mortale. La morte del suolo comporta l’indurimento dei terreni e da qui il dilavamento durante le piogge perché il terreno ha perso la sua naturale porosità.
Chi può restituire fertilità ai suoli da cui i nostri figli dovranno trarre il sostentamento? Saremo tutti condannati a ingurgitare i frutti insapori e monocromatici delle culture idroponiche olandesi?
Oppure più semplicemente dobbiamo restituire la vita ai nostri terreni che tutti, ambientalisti e non, vorremmo sempre vedere come verdi parchi naturali, ossigeno per i nostri polmoni, culla del nostro cibo – inurbati o no, non basterà una generazione “tecnologica” a render robot gli umani e gli alberi, l’erba, i loro profumi e colori come lo stesso colore “verde”, sono parte di un bisogno primario insopprimibile.
Dunque, viva il compost, che se gettato nei terreni malati può consentire alla vita di rinascere e preservarsi.
Ma come fare per avere compost sufficiente per bilanciare la perdita del letame e sfebbrare i terreni ammalati anche di eccesso di erbicidi e pesticidi? Questo compito sarà svolto proprio da chi non ce lo aspetteremo mai: l’industria non agroalimentare.
Una conclusione come questa richiede una spiegazione partendo da alcune premesse:
1) quello che serve all’agricoltura è soprattutto compost di qualità (adatto alla produzione alimentare di ortaggi e frutta);
2) l’aumento del rifiuto organico non può attuarsi con l’aumento dei consumi di prodotti alimentari pro-capite. Almeno in Italia questo è comunque un dato di fatto: grazie alla crisi, ad un ritrovato bisogno di non sprecare, la raccolta differenziata là dove già esistente, nell’ultimo anno è calata anche del 20 o 30%. Si compra meglio e si riequilibrano le quantità nei piatti;
3) fosse anche solo per razionalizzare i costi di smaltimento dell’immondizia, è necessario che si estenda la raccolta differenziata anche nelle grandi città, dopo gli anni di sperimentazione nei piccoli comuni e medie città, perché è qui che la popolazione spreca di più;
4) l’accumulo di fertilizzanti sintetici nei terreni agricoli è un fatto noto sia alla scienza che agli amministratori della cosa pubblica, non è accettato dalle multinazionali del settore per questione di potere e di strategia del profitto a breve mentre invece si presentano come salvatrici della fame nel Mondo.
Fatte queste premesse il problema è quindi dove reperire le risorse organiche per produrre il compost che non soltanto l’Italia ma tutta l’Europa richiederà da qui ai prossimi 5 anni?
Ci sono 2 potenziali fonti di approvvigionamento sostenibili anche economicamente:
a) l‘estensione della raccolta degli scarti alimentari alle città, ovvero una maggiore copertura territoriale della raccolta. Ndr: discorso che vale anche nell’Europa dei 25 che critica tanto l’Italia ma è mediamente indietro nella sperimentazione su vasta scala del compostaggio solo perché produrre energia (inefficiente) dai rifiuti rende perché si viene ben pagati (Napoli docet) e il pressing dei giganti dell’energia è asfissiante. Tuttavia potrebbe non essere sufficiente.
b) La novità vera invece deriva dall’evoluzione in chiave ecocompatibile di manufatti di massa ovvero dalla rivoluzione 3.0 dell’industria delle materie prime (perché avviene per la prima volta nella storia, con la consapevolezza e la condivisione del popolo del web)
La strada è tracciata; la nuova classe media è padrona del web e può influenzare come mai nella storia il tracciato dell’industria. Deve solo essere sicura che la tela delle grandi lobbies non sia in grado di irretire a sufficienza il pensiero. Manufatti usati quotidianamente in enormi quantità per applicazioni non alimentari, possano trasformarsi in compost, infatti è innanzitutto un cambio di status mentale dopo un secolo di abbuffata dei derivati da petrolio che costituiscono da soli isole di rifiuti non biodegradabili grandi come uno Stato, poi è certamente un fatto economico. In ballo ci possono essere tra il 10-15% dell’immondizia urbana di cui i soli prodotti monouso igienici ne rappresentano oggi l’8-10%. Centinaia di migliaia di tonnellate, milioni di tonnellate nel Mondo, di materiali presi in Natura possono tornare alla Natura anziché essere trasformati in gas che al massimo produce energia consumabile all’istante. Anzi nei migliori impianti di compostaggio prima la materie viene fatta digerire dai batteri producendo gas tipo metano per produrre energia (fase anaerobica) e poi con il residuo si riproduce materia organica per il suolo. Nel futuro prossimo la raccolta di scarti alimentari sarà sorpassata in quantità da quella derivati da manufatti ottenuti con zuccheri e cellulose.
Oggi però sono manufatti industriali “compostabili” solo quelli che sono garantiti da una certificazione (in Italia come quella rilasciata dal consorzio Italiano composta tori – CIC). L’industria manifatturiera è in fermento, si respira un clima di entusiasmo e rinnovato interesse, al contempo di preoccupazione perché lo sviluppo industriale non è seguito di pari passo da quello normativo. La manifattura italiana grazie alla vitalità dell’imprenditore, testa pensante che sfugge alla legge del manager-numero, sta giocando un ruolo importante ma si può fare molto di più nello sviluppo di tecnologie sostenibili se si facesse sistema vincendo i pregiudizi culturali. Se le strutture finanziare oggi non seguono questa generazione di imprenditori – ma ci sono segnali diversi all’orizzonte – verranno trovate nuove strade; la fame aguzza l’ingegno e in Europa l’ingegno è insito nella Storia; una cultura intera non può essere deportata o soppiantata da altre, caso mai integrata.
Guardando nel mercato dei fatti e non della pubblicità, ormai sono disponibili sul mercato manufatti industriali diversi, soprattutto usa&getta composti da mono-materiali come il pla per le bottiglie di acqua minerale o mater-bi per un set di posate o da strutture più complesse come i pannolini per bambini. E presumibilmente sarà proprio il settore usa&getta che alimenterà gli impianti di compostaggio perché richiede grandi volumi, alta velocità di rotazione negli scaffali dei supermercati, facilità d’uso e abilità di combinarsi con i rifiuti alimentari. Ed è difficile o costoso il recupero e riciclo dei materiali (molte unità disponibili ma tutte dotate di poco materiale)
Alla base di tutti i materiali compostabili per uso industriale sono come accennato i derivati dalla cellulosa e i derivati dagli “zuccheri”. Questi ultimi sono un elaborazione intelligente di ciò che la Natura ha messo alla base della vita di tutti gli esseri viventi (compreso l’uomo); sono contenuti un po’ in tutti i vegetali dall’erba selvatica in su, allo stelo e frutti dei cereali, ai semi, alla frutta e alla sua buccia (pensando alle enormi quantità non raccolte nei campi e frutteti o alla frutta troppo matura per essere venduta); sono contenuti negli sfalci dei giardini, nei tronchi degli alberi. Grandi quantità di materia prima oggi bruciata o lasciata a marcire può costituire un tesoro prezioso. La ricerca è avanti e sul mercato stanno apparendo sempre più biopolimeri dotati di propria personalità. Con i biopolimeri si faranno cose che con la plastica di origine minerale non si possono fare e la plastica stessa tornerà a occupare gli spazi che ne esaltano le proprietà, ma non più “tutti” gli spazi come oggi. I biopolimeri sono inoltre i più validi alleati della cellulosa perché in grado di esaltare le proprietà dell’uno e dell’altro.
Manufatti complessi utilizzati nelle astronavi come negli ospedali o nelle costruzioni non dovranno essere per forza compostati ma anzi le preziose materie prime potranno essere riciclate come oggi avviene per le plastiche ordinarie.
Infatti trasformare in compost le materie prime non è fortunatamente l’unica soluzione sostenibile né l’unica priorità su cui concentrare la ricerca scientifica, industriale. Promuovere lo sviluppo del compost deve avvenire con le dovute attenzione e regolamentazioni, richiede ancora investimenti e occorre fare argine contro la speculazione industriale e l’inganno commerciale. Riciclare, dove tecnicamente possibile, è infatti anch’esso un dovere perché contribuisce alla razionalizzazione nell’uso delle risorse naturali che il Pianeta non è più in grado di riprodurre in quantità utile alle esigenze dell’umanità. Compostare e riciclare non sono dunque né la stessa cosa come spesso capita di sentir dire erroneamente, generando confusione, né antagonisti ma alleati in un progetto che ha sempre l’uomo al centro. Il problema è semmai ancora una volta politico perché occorre una strategia di lungo termine e leggi progressive che ne consentono l’attuazione. Ma se anche in alcune aree riciclare e compostare possono essere tecnologie alternative sarà un bene per tutti: industrie e consumatori sono entrambi composti da persone il cui fine è identico: assicurarsi il futuro che vuol dire comunque lottare per rendere sostenibile questo Pianeta.
Marco Benedetti
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