Cibo: la lotta agli sprechi inizia dal packaging

E’ evidente che il sistema di consumo a cui siamo abituati fa acqua da tutte le parti. E non è solo un modo di dire. Lo spreco di cibo si produce in tutti i passaggi della catena di produzione degli alimenti. Il 3,3% della raccolta agricola rimane nei campi. Nei Paesi in via di sviluppo una quota compresa tra il 30 e il 50% del cibo trasportato non arriva a destinazione. In molti casi, quello che ci arriva non è stato conservato correttamente e marcisce. I carrelli si riempiono troppo facilmente e non riflettono le reali abitudini di consumo delle persone. Confezioni troppo grandi per i nostri pasti sempre più veloci rimangono aperte troppo a lungo in frigo e finiscono nella spazzatura.

Ogni tre mele staccate da un albero, almeno una non arriva in tavola. Un recente studio condotto dalla FAO stima che ciascun consumatore Europeo o Nord Americano sprechi circa 95-115 Kg di cibo all’ anno. In Italia, se ne va in spazzatura il 3% del PIL, cioè circa 37 miliardi di euro (Libro nero dello spreco alimentare in Italia, 2011, Edizioni Ambiente). In altri termini, non arriva alla bocca il 30% di quello che viene prodotto e distribuito.

È evidente che il sistema di consumo a cui siamo abituati fa acqua da tutte le parti. E non è solo un modo di dire. Lo spreco di cibo si produce in tutti i passaggi della catena di produzione degli alimenti. Il 3,3% della raccolta agricola rimane nei campi. Nei Paesi in via di sviluppo una quota compresa tra il 30 e il 50% del cibo trasportato non arriva a destinazione. In molti casi, quello che ci arriva non è stato conservato correttamente e marcisce. I carrelli si riempiono troppo facilmente e non riflettono le reali abitudini di consumo delle persone. Confezioni troppo grandi per i nostri pasti sempre più veloci rimangono aperte troppo a lungo in frigo e finiscono nella spazzatura.

Se una delle chiavi del cambiamento passa attraverso l’azione informativa nei confronti del consumatore per un maggiore rispetto del cibo, un’altra passa attraverso il controllo della filiera del packaging.

Nuovi sistemi di confezionamento che garantiscono il mantenimento dell’integrità del prodotto dal magazzino di lavorazione, lungo il trasporto e nel punto vendita rappresentano un canale di accesso alla sostenibilità dell’ alimentazione. A sostenerlo è la stessa FAO che, in occasione dell’Interpack 2011, la principale fiera mondiale nel settore del packaging, appena conclusa a Francoforte, ha organizzato un congresso e una mini esposizione dal titolo Save Food. Lo scopo? Sottolineare lo stretto legame tra imballaggi e pratiche di conservazione alimentare. E distinguere tra cibo perso e cibo sprecato. Due categorie ben distinte che nel primo caso evidenzia la presenza di inefficienze infrastrutturali e nel secondo un atteggiamento meramente consumistico.

Le nostre risorse sono sempre più esigue: i campi, l’acqua e l’energia non si possono moltiplicare a piacere. Per questo motivo è più efficace limitare le perdite lungo tutta la catena del valore, piuttosto che incrementare la produzione” ha detto Robert van Otterdijk, capo progetto della FAO, in occasione dell’inaugurazione dei lavori.

In Italia, Slow Food insieme con il Politecnico di Torino ha cercato di stilare delle Linee Guida per la progettazione sostenibile degli imballaggi alimentari, i cui primi destinatari sono stati i 1300 piccoli produttori responsabili delle categorie protette dall’Associazione. Risale al 2010 il primo “Premio per il miglior eco-packaging dei Presidi Slow Food” andato alle retine in Mater-Bi© dell’azienda Novamont.

Anche Comieco è recentemente tornata sul tentativo di definire il packaging responsabile. Lo ha fatto tramite un’indagine commissionata dal Goodpaper Club o Club del cartone Responsabile, associazione che raccoglie le imprese impegnate nella progettazione e vendita di packaging a base cellulosica e recentemente pubblicata sotto il nome di “Il buon packaging” (Edizioni Dativo, 2010). Cosa c’entra il cibo con la carta? Oggi gli imballaggi destinati a contenere prodotti alimentari sono pari al 50% della produzione totale di imballaggi in materiali cellulosici in Europa. E rappresentano la risorsa più flessibile, capace di garantire qualità, conservazione e informazione. Nonché, un alto tasso di propensione al riciclo (80%).

Anche un prodotto apparentemente marginale come le cassette del mercato realizzate in cartone ondulato possono cambiare il destino di una partita di frutta se ideate e sviluppate in funzione di una giusta calibrazione dei pesi (per non far schiacciare il prodotto) e dell’areazione nel corso del trasporto (per non farlo marcire prematuramente). Nei Paesi in via di sviluppo, dove i tassi di dispersione del cibo sono molto alti, la sostituzione di cassette in plastica con versioni più resistenti e riutilizzabili in metallo salva il 10-15% del cibo trasportato.

Parallelamente, si fanno avanti campagne di sensibilizzazione nei confronti dell’utente finale all’uso di materiali maggiormente resistenti alle sollecitazioni del trasporto. Da anni, in diversi Paesi europei si sostiene l’uso dei barattoli in alluminio, quale strumento di maggiore garanzia di conservazione del cibo.

In Italia, un’azione simile è stata condotta da Assovetro, l’associazione che riunisce i produttori di vetro impegnati a mettere in rilievo i punti di forza di questo antichissimo materiale . Assenza di reazioni chimiche tra contenuto e contenitore, trasparenza e impermeabilità ai raggi ultravioletti sono i principi che garantiscono la salvaguardia della sicurezza. Per non parlare della resistenza.

In questo percorso di ridefinizione del ruolo del packaging è chiaro il tentativo di spodestare la plastica dal suo ruolo di regina degli imballaggi. Dopo anni di ubriacatura da questo materiale, ci si è accorti che spesso, per le sue stesse caratteristiche, non è garanzia di mantenimento dell’integrità del prodotto. Un altro mito è pronto a essere abbattuto. Dipende da noi, dargli il colpo di grazia.

Pamela Pelatelli

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