Il grande inganno dei biocarburanti usati in Italia: “non sono green e aumentano le emissioni di CO2”

Il nostro Governo vuole equiparare i biocarburanti ai “carburanti climaticamente neutri”. Ma siamo proprio sicuri che siano davvero sostenibili? La verità è molto deludente, questo settore in espansione puzza di greenwashing, frodi e deforestazione...

Quando si parla di biodiesel si tende a pensare a un carburante a basso impatto ambientale, l’alternativa perfetta e sostenibile ai combustibili fossili. In realtà il quadro è decisamente meno roseo, anzi. Non mancano le “macchie” in questo settore dove. A metterci in guardia sui retroscena è un nuovo interessante report di Legambiente, da cui emerge che addirittura oltre l’80% del biodiesel e quindi il 75% dei biocarburanti derivano da prodotti come l’olio di palama che contribuiscono alla piaga della deforestazione. Il caso esemplare è quello di Eni-diesel+, condannato per greenwashing dall’AGCOM nel 2020.

Com’è noto, i biocarburanti costano di più, ma le analisi in quest’ambito hanno dimostrato che questi emettono il doppio o persino il triplo del gasolio. Insomma, di ecosostenibile c’è molto poco, mentre il rischio frode è dietro l’angolo.

In Italia le rinnovabili nel settore dei trasporti avrebbero dovuto superare l’obiettivo target del 10%, calcolato con il meccanismo previsto nelle Direttive europee sulle rinnovabili (RED1 e RED2). Invece, si è arrivati soltanto a quota 4,8% anche grazie alle rinnovabili elettriche (specialmente treni e metropolitane) e al 3,8% grazie a quasi 1,6 milioni di tonnellate di biodiesel. Insomma il contributo alla decarbonizzazione è stato davvero deludente.

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Quali tipologie di biocarburanti vengono usate in Italia?

Per quanto riguarda il il biodiesel prodotto dall’olio di palma o di soia, la Commissione europea ha disposto una completa “analisi di
scenario” che considera anche i consumi e le emissioni causate dalla sostituzione di suolo agricolo e dalla sottrazione di foreste o torbiere, dimostrando che le emissioni totali di CO2 per l’olio di palma sono mediamente triple della combustione di gasolio e per l’olio di soia sono doppie.

Ma ad oggi quali sono le “false rinnovabili” impiegate nell’ambito dei trasporti?

Come riporta Legambiente, sul totale 2021 di 1.552 kTep (tonnellata equivalente di petrolio), 214 kTep sono i biocarburanti a singolo conteggio da colture dedicate, gran parte alimentari, tutti o quasi destinati ad essere esclusi entro il 2030, in alcuni casi – come l’olio di palma – nel corso del 2023. Per quanto riguarda la voce “derivati dalla lavorazione di oli vegetali” è costituita principalmente da distillati di olio grasso di palma (PFAD), già declassato a singolo conteggio.

frode biocarburanti

@Legambiente Onlus

Tra i biocarburanti non avanzati a doppia contabilità dominano gli oli di cottura usati (UCO), ben 464mila tonnellate, adoperate anche da Eni nelle sue bioraffinerie di Porto Marghera e di Gela in sostituzione dell’olio di palma usato fino allo scorso agosto per produrre biodiesel HVO (olio vegetale idrogenato). Al secondo posto, troviamo – invece – gli oli e grassi animali, 441mila tonnellate, raccolte da tutti i Paesi europei.

Infine, fra i biocarburanti avanzati spiccano inoltre le 249mila tonnellate di effluenti degli oleifici di palma (POME), estratto dai mulini di olio di palma ed importato dall’Indonesia, spesso indistinguibile e miscelato nel trasporto con olio di palma grezzo.

Poiché è venduto in Europa come scarto, quindi con il doppio conteggio, nel mercato regolato dei crediti per le rinnovabili nei trasporti vale il doppio. – chiarisce Legambiente – Per il POME non è prevista alcuna tracciabilità: il rischio che olio di palma grezzo possa essere miscelato o declassato come prodotto da POME è elevato.

Il rischio frode è dietro l’angolo

Per quanto riguarda il caso italiano, gli oli alimentari usati riciclati di origine nazionale, certificati dai Consorzi di raccolta nazionali (Conoe e RenOils) – come impone il Decreto ministeriale del 14 novembre 2019 – sono appena 40mila tonnellate, contro le 410mila tonnellate di oli di cottura usati provenienti dal Sud-Est asiatio e trasformati in biodiesel dalla Spagna, dalla Bulgaria e da altri Paesi.

biodiesel report legambiente

@Legambiente Onlus

Praticamente 59 milioni di italiani riescono a raccogliere circa 80mila tonnellate di oli vegetali usati da cucina, di cui la metà trasformati in biodiesel.

Se teniamo le stesse proporzioni, per raccogliere oltre 400 mila tonnellate di biodiesel da UCO cinesi, dovremmo ritenere che vengano coinvolti in una analoga raccolta selettiva 500 milioni di abitanti nell’estremo oriente, solo per consentire il “pieno” al 4% dei nostri diesel? Contemporaneamente altri centinaia di milioni di orientali dovrebbero riciclare oli usati per rifornire le auto francesi, tedesche e spagnole? Poco convincente. – fa notare Legambiente nel suo report  – Così come è poco convincente l’origine di tutti gli oli e grassi animali usati sul mercato italiano ed europeo dei biocarburanti: se la metà degli oli e dei grassi animali usati in Europa non appartengono alle “categorie 1 e 2” e l’Italia importa da tutta Europa ben 400 mila tonnellate di questi materiali, possiamo stimare che ben la metà del biodiesel dei grassi animali usati nel biodiesel italiano è frutto di frode, visto che da noi avviene il riconoscimento finale di immissione sul mercato (CIC) in “doppia contabilità”.

Diverse ricerche hanno preso in esame le emissioni di derivanti dalla sostituzione sui mercati degli alimenti per animali e nella cosmesi: in questi casi le emissioni di CO2 risparmiate non sono più il 78% (valore previsto dagli scarti di macellazione nella Direttiva Rinnovabili), ma addirittura fino a 1,7 volte peggiori rispetto al diesel convenzionale.

Un’altra nota dolente è quella della mancata tracciabilità che espone gli acquirenti al rischio frodi.

“Analogamente gli oli certificati ma non tracciati, siano possibili miscelazioni e declassazioni fraudolente: olio di palma grezzo, se miscelato o fraudolentemente certificato con UCO o POME, verrà immesso sul mercato dei biocarburanti in “doppia contabilità”, cioè doppio incentivo. E come tale pagato dall’automobilista” evidenzia l’associazione ambientalista.

In definitiva, su 1.552 kTep di biocarburanti immessi sul mercato in Italia, la maggior parte – circa 75% circa – sono fortemente sospetti di non essere realmente rinnovabili, e le emissioni di gas a effetto serra rischiano di essere persino superiori a quelle provocate dai combustibili derivati dal petrolio.

Ben tre quarti delle matrici “bio” commercializzate nel mercato controllato dallo stato italiano (Certificati Immissione al Consumo di biocarburanti) sono classificati “a rischio ILUC” (come l’olio di palma e soia) o a rischio di “frode” perché non corrispondono alla dichiarazione di prodotto (come l’olio di palma classificato come UCO oppure da macellazione di animali di categoria 3).

Insomma, un grande inganno dove di green c’è ben poco…

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Fonte: Legambiente

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