L'Algeria era rimasto l'ultimo paese in cui si vendeva la "super". Da poco più di un mese è stata messa al bando. Ecco cosa ci insegna questo errore che ha fatto milioni di morti
L’ultimo baluardo era l’Algeria: nel paese nordafricano resistevano le ultime pompe che la erogavano, ma a luglio la benzina addizionata con piombo, un carburante che ha accompagnato gli spostamenti dell’umanità per un secolo, è diventata un ricordo con la decisione di interromperne la vendita da parte della Sonatrach, la raffineria di stato algerina.
La benzina “super”, così la si chiamava un tempo, altrimenti detta benzina “rossa” per via del colorante che vi era aggiunto, fu inventata negli anni ’20 negli Stati Uniti dai tecnici della General Motors che erano alla ricerca di un carburante che bruciasse uniformemente. La benzina dei primordi della motorizzazione di massa, infatti, era molto instabile: volendo semplificare, si può dire che non scoppiasse al momento giusto, causando malfunzionamenti nei motori a combustione che ne pregiudicavano la regolarità di funzionamento.
L’aggiunta di piombo tetraetile preveniva queste detonazioni incontrollate, così il piombo divenne un ingrediente indispensabile per il carburante più diffuso al mondo. Col tempo si iniziarono a rilevare pericolosi effetti per la salute umana dovuti all’esposizione al piombo contenuto nella benzina, che danneggiava, si sarebbe scoperto nel corso degli anni, i reni ed i sistemi cardiovascolare e nervoso, provocando anemia, cecità, infertilità e diverse altre patologie tra cui il cancro. A fine anni ’70 si scoprì negli USA che provocava nei bambini problemi comportamentali, neurologici e cardiovascolari e una riduzione nel loro quoziente di intelligenza da 5 a 10 punti.
Si rese quindi necessario limitarne l’impiego, dapprima fissandone i limiti per litro. Ci volle poco più di un decennio perché si passasse alla “benzina verde” senza piombo. I produttori di automobili furono obbligati a produrre veicoli che funzionassero solamente a benzina senza piombo a metà anni Novanta, mentre la distribuzione della benzina con piombo fu interrotta in Europa e in Italia l’1 gennaio del 2002. Rimase in circolazione solo la “verde”, che al posto del piombo utilizza maggiori quantitativi di benzene per ottenere la stessa stabilità e deve il suo nome non tanto al fatto che non sia inquinante, quanto al colorante usato per distinguerla dalla benzina rossa. Purtroppo ancora agli inizi degli anni 2000 82 paesi, soprattutto quelli meno sviluppati, continuavano ad impiegarla.
Fu così che l’ONU varò lo United Nations Environment Programme (UNEP), un programma a supporto dello sviluppo sostenibile che ha spinto tra le altre cose verso la produzione di carburanti meno dannosi per l’uomo e l’ambiente. Dopo 19 anni l’obbiettivo è stato raggiunto.
Secondo uno studio dello US Department of Health and Human Services del 1997, negli Stati Uniti, la rimozione del piombo dalla benzina tra il 1976 e il 1995 ha comportato una riduzione del 90% del livello medio di piombo nel sangue ed effetti simili sono stati registrati in Europa occidentale, Australia, Canada, Nuova Zelanda e Sud Africa.
Secondo le stime dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, il bando progressivo al piombo tetraetile nella benzina ha permesso di evitare 1,2 milioni di morti premature all’anno. «Il successo del divieto sulla benzina con piombo è un’enorme pietra miliare per la salute globale e per il nostro ambiente. Dopo un secolo di morti e malattie che hanno colpito centinaia di milioni di persone e degradato l’ambiente in tutto il mondo, siamo ancora più decise nel voler accelerare la transizione verso veicoli puliti e la mobilità elettrica», ha affermato Inger Andersen, direttore esecutivo dell’UNEP.
Il piombo tetraetile però rimarrà purtroppo tra noi ancora per qualche decennio, perché viene trasportato con facilità attraverso l’atmosfera. Oltre alla salute, è dannoso come è noto anche per l’ambiente, si accumula nelle falde acquifere, nelle acque del mare e nei terreni passando ai vegetali ed agli animali, Al livello del suolo si può progressivamente ridurre la sua concentrazione utilizzando piante metalloaccumulatrici, soprattutto brassicacee, che poi vanno correttamente smaltite a fine ciclo. Anche alcuni batteri e funghi possono essere sfruttati per la decontaminazione dei campi. Come sempre, la soluzione migliore viene dalla natura.
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