6 buoni motivi per scegliere di non mangiare tonno

Il tonno, conosciutissimo in quanto consumato in grandi quantità, ma ci sono ottime ragioni per non consumarlo più

Poco tempo fa vi avevamo dato delle buone ragioni per evitare di mangiare pesce spada, ora è la volta del tonno, conosciutissimo in quanto consumato in grandi quantità, ma non altrettanto conosciuto nel suo aspetto: si tratta di un pesce predatore velocissimo e di grandi dimensioni (immaginatevi che può arrivare a pesare quanto un cucciolo di elefante!), dall’aspetto davvero magnifico.

A dispetto delle scatolette che troviamo in grande abbondanza tra gli scaffali dei supermercati, il tonno, in particolare quello rosso, è un animale a rischio di estinzione il cui consumo su larga scala ha numerose ripercussioni negative a catena: ci sono perciò vari motivi validi per scegliere di non metterlo in tavola.

Un pesce ricco di metalli pesanti

Innanzitutto, si sa che la quasi totalità della fauna ittica assorbe mercurio, ma questo è maggiormente preoccupante nel caso di pesci di grossa taglia e più longevi, per il semplice fatto che hanno più tempo per accumulare la sostanza nel proprio corpo. Ora, il mercurio è notoriamente tossico e negli uomini questo può causare disturbi neurologici di vario genere: dalla perdita di memoria, ai danni cerebrali, agli aborti spontanei e chi più ne ha più ne metta. Certamente un consumo ridotto non si traduce automaticamente in problemi di questo tipo, ma disturbi quali l’affaticamento e la perdita di memoria legati al consumo di pesce sono così comuni che esiste addirittura un termine medico specifico per indicarli: si parla infatti di “fish fog”, di “annebbiamento”.

Allevamenti intensivi

La pesca intensiva del tonno impoverisce anche la fauna circostante: molto spesso nelle reti incappano accidentalmente anche balene e delfini, il cui destino non è quello di essere rimessi in libertà, bensì quello ben più triste di venire massacrati in quanto specie predatrici di tonni.

Non è sostenibile

Nella stragrande maggioranza dei casi, il tonno non viene consumato nel luogo in cui viene catturato: il pescato viene dapprima congelato, poi venduto, trattato e poi spedito in ogni angolo del mondo. A causa di tutti questi passaggi il consumo di tonno accresce a dismisura la nostra impronta ecologica ogni volta che decidiamo di consumarlo: per metterci in pari – in termini meramente economici – dovremmo pagare non solo per la nostra piccola scatoletta, ma anche per tutta l’energia sprecata, per l’inquinamento prodotto, per i trasporti, per il depauperamento della fauna marina, nonché per l’indiscutibile preziosità biologica del prodotto.

In Italia la pesca del tonno rosso (bluefin) è diffusa soprattutto al largo di Sicilia, Sardegna, Calabria e Liguria. Buona parte del tonno consumato a livello mondiale viene però pescato molto lontano dal nostro Mediterraneo e commercializzato a prezzi concorrenziali dall’Australia o dal Giappone (dove viene utilizzato in quantità enormi per la preparazione del sushi). L’impatto della pesca “legale” – comunque troppo intensiva – è inoltre aggravato da quella illegale: è pratica diffusa infatti allungare la stagione di pesca fino a 4 mesi rispetto ai tempi naturali di cattura (in Maggio e Giugno), un’abitudine che stravolge i tempi di crescita e riproduzione dei pesci.

A  rischio estinzione

Nella sua campagna a tutela degli oceani, Greenpeace ha dedicato un intero capitolo al tonno: rispetto agli anni ’70 questa specie si è ridotta del 90% a causa della pesca intensiva e della crescente domanda da parte dei consumatori. “Sai che cosa c’è nella tua scatoletta?” è la domanda che ci martella in questo breve video: apri una lattina e scopri non solo che spesso al suo interno ci sono tracce di animali che non dovrebbero esserci, ma anche che un tuo piccolo gesto si ripercuote a catena su equilibri fragili, sulla sopravvivenza di interi ecosistemi, sulla tua salute e su quella del nostro mondo. Come fa notare l’associazione, il tonno rappresenta la conserva ittica più venduta sul mercato mondiale, ma l’industria del tonno, ad oggi non può essere considerata sostenibile.

ll WWF già nel 2008 – in occasione dell’incontro ICCAT (Commissione Internazionale per la Conservazione del Tonno Atlantico) – aveva avanzato la richiesta di sospendere per un periodo le autorizzazioni alla pesca del tonno rosso – questo per evitare un disastroso collasso biologico ed economico (non dimentichiamo che intorno al tonno ruotano anche molte economie locali e di qualità): il parere del WWF era comunque a favore di un utilizzo sostenibile delle risorse ittiche in appoggio dei pescatori che agivano correttamente entro i limiti delle leggi.

L’Italia ha poi effettivamente promosso una moratoria alla pesca del tonno rosso e l’Europa ne ha proposto il bando totale per tutelare questa specie. Bisogna però sottolineare che un’iniziativa del genere avrebbe ripercussioni purtroppo devastanti anche sulle economie locali di qualità e sulle comunità di pescatori, già gravemente provate dalle restrizioni e alla ricerca di nuove possibilità.

Rimane la convinzione che come sempre – non per niente si dice “in media stat virtus” – nella valutazione di rischi e benefici sia opportuno adottare un approccio equilibrato e ponderato. Lodevoli sono in questo senso alcune iniziative di sensibilizzazione promosse a vari livelli. Il consumo di un prodotto, e a maggior ragione di un prodotto così delicato, richiede dunque consapevolezza e informazione: le sole armi che abbiamo per garantire la sostenibilità e la qualità delle nostre scelte. Così, se proprio non ce la facciamo a rinunciare ad una scatoletta di tonno, cerchiamo di acquistare marche che stanno cercando di rendere maggiormente sostenibile la loro produzioneS.Z.

Leggi anche i 6 motivi per non mangiare il pesce spada

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