Il "nostro" grano Creso è stato ottenuto da una modificazione genetica indotta da un bombardamento di raggi gamma
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È il grano più diffuso in Italia, è buono e abbondante, ma non esattamente “naturale”: il grano Creso è stato infatti ottenuto da una modificazione genetica indotta da un bombardamento di raggi gamma.
Il grano Creso è una cultivar dal nome scientifico Triticum durum che in realtà non è nato da selezione naturale, ma del tutto artificiale: proviene, infatti, dall’incrocio di un frumento duro del Centro Internacional de Mejoramiento de Maíz y Trigo – CIMMYT, derivato da un incrocio tra grani duri e teneri con una linea mutante, questa indotta da un’irradiazione combinata di neutroni e raggi gamma nel frumento duro Cappelli. (Leggi anche: Grano Saragolla e Senatore Cappelli: due alternative italiane al Kamut®)
La storia
Innanzitutto, sembra proprio che il progenitore dell’attuale grano sia stato il Triticum Monococcum, un grano dalla spiga piccola e con uno scarsissimo contenuto di glutine, parente del farro, da cui si è partiti per ottenere il Triticum Dicoccum con spighe più grandi e quindi più redditizio, per poi “approdare” alle due varietà di grano tenero e duro, il Triticum Durum.
Siamo negli anni ’50 del secolo scorso, i contadini, abituati a seminare le sementi ricavate dal raccolto precedente, iniziano a rifornirsi di quelle prodotte industrialmente. Fino agli anni ‘60 in Italia, soprattutto in Puglia, il grano duro coltivato abitualmente era della varietà Cappelli, di ottima qualità, ma ad alto fusto e dunque facilmente suscettibile all’azione del vento e della pioggia che lo piegavano verso terra, rendendolo a bassa produttività.
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Nel 1974, a quel punto, un gruppo di ricercatori del CNEN (Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare, oggi ENEA) induce una mutazione genetica nel grano duro denominato “Cappelli”, esponendolo ai raggi gamma di un reattore nucleare, e, in seguito, lo incrociano con una varietà americana. Dopo la mutazione, il grano era diventato “nano”, dimostrandosi molto più produttivo in quanto decisamente meno soggetto alle intemperie atmosferiche, e inoltre più precoce nella crescita.
“Le prime costituzioni del decennio 1970 – 1980 sono state le cultivar Alex, Giorgio e Gerardo (Vallega e Zitelli, 1973) – si legge su un report dell’Università degli Studi di Sassari – frutto di un programma di miglioramento genetico iniziato da Vallega e Zitelli nel 1961 […]. Da questi filoni di ricerca, condotti parallelamente dall’Istituto Sperimentale per la Cerealicoltura e dall’ENEA, nascono, agli inizi degli anni ’70, le cultivar del gruppo ‘Val’ e la cultivar Creso (Bozzini e Bagnara, 1974) […] Tali varietà, grazie alla resistenza all’allettamento e al maggior harvest index associato alla statura ridotta, e grazie alla resistenza alla ruggine nera ed all’oidio, consentirono il raggiungimento di livelli produttivi decisamente superiori a quelli delle precedenti costituzioni.
Una mutazione genetica non OGM
Dunque il Creso è un grano tutt’altro che naturale, frutto di mutazioni genetiche indotte da radiazioni (oltre che da incroci imposti dall’uomo). Ma sfatiamo un mito: non è un OGM, in quanto le modificazioni genetiche non sono state indotte da tecniche di biotecnologia.
Attualmente è proprio con il Creso che si prepara circa il 90% della pasta venduta in Italia, ogni tipo di pane, dolci, pizze, alcuni salumi, ma anche capsule per farmaci.
Tutto ok dunque? Purtroppo no.
Le modificazioni indotte sul grano e le intolleranze
“Il grano primitivo, il monococco, oltre a contenere uno scarso quantitativo di glutine, era dotato di un perfetto equilibrio dei suoi componenti che impediva alla tossicità del glutine di esplicare un’azione lesiva a livello dei tessuti – scrive Sara Farnetti, medico internista, sul suo blog – come avviene quasi sempre nei prodotti della natura, prima delle trasformazioni indotte dalla moderna tecnologia”.
Non così i grani derivati, purtroppo, a cui in effetti si associa da tempo l’aumento delle intolleranze tra cui la famigerata e molto seria celiachia.
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“Sono sempre più diffuse le reazioni avverse al frumento: malattia celiachia, reazioni allergiche, intolleranze, difficoltà digestive – scrive ancora la Farnetti – Le moderne selezioni hanno modificato questa pianta da cereale, ricco di amidi, in un’altra con caratteristiche più simili ad una leguminose, per aumentare il contenuto proteico. Appare fondata l’ipotesi che la modifica genetica del frumento sia correlata ad una modificazione della sua proteina e in particolare di una frazione di questa, la gliadina, la proteina basica capace di indurre l’enteropatia infiammatoria e quindi il malassorbimento caratteristico del Morbo Celiaco”.
Le persone celiache sono in netto aumento in Italia e ad oggi se ne contano circa un milione, il doppio rispetto a vent’anni fa. Gli esperti hanno rilevato un aumento dei casi soprattutto nelle aree urbane e metropolitane, sottolineando come la celiachia oggi interessi quasi il 2% della popolazione.
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“L’aumento dell’incidenza della Celiachia, quindi, (1 caso ogni 100 o 150 persone con una crescita percentuale del 9% all’anno), potrebbe essere anche dovuta anche ai ripetuti e differenti interventi sulle varietà di grano presente nella maggior parte degli alimenti che mangiamo – scrive ancora l’esperta – ma occorrerebbe produrre indagini scientifiche ed epidemiologiche accurate”.
Che, di fatto, non ci sono o non sono sufficienti.
Fonti di riferimento: Università degli Studi di Sassari / Sara Farnetti
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