Si parla sempre più spesso, e non solo in Italia, di shrinkflation. In Francia i consumatori si sono mossi e, grazie alla petizione lanciata da Foodwatch, hanno iniziato ad ottenere i primi risultati. Qualcosa si muove...almeno oltralpe
Se siete consumatori attenti, andando a fare la spesa al supermercato forse ve ne sarete accorti: si sta “restringendo” un po’ tutto. Parliamo di quella pratica, nota con il nome di shrinkflation e sempre più cara alle aziende, che prevede di diminuire il quantitativo di un prodotto (non dichiarandolo in modo chiaro) ma mantenendo lo stesso prezzo.
Un sistema per far sembrare che i costi al consumatore sono stabili quando ovviamente non è così (se pago un prodotto più piccolo allo stesso prezzo di quello precedente che era più grande, è evidente che ci sto perdendo).
Il problema è che questa pratica, assolutamente legale, spesso passa sotto silenzio e chi acquista non si accorge dei cambiamenti.
Fortunatamente, sempre più consumatori sono invece molto attenti a ciò che comprano e stanno notando una serie di differenze in vari prodotti. Anche a noi di greenMe sono arrivate diverse segnalazioni in proposito.
Non si tratta però solo di un problema italiano, in Francia cittadini e associazioni sono molto attivi nel combattere questa pratica, o meglio, nel chiedere maggiore trasparenza da parte delle aziende (va bene restringere i prodotti ma che questo venga fatto in modo chiaro per il consumatore).
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Ora Foodwatch fa il punto della situazione, mostrando alcuni risultati già ottenuti dalla protesta e dalla petizione lanciata in Francia.
Reazioni sono arrivate sia da parte delle aziende che dal Ministro Delegato per le Piccole e Medie Imprese, Commercio, Artigianato e Turismo, Olivia Grégoire, che chiede un’indagine in merito a questa questione. Lo ha reso noto in un tweet.
A metà settembre, il Ministro ha affermato che la Direzione Generale per la Concorrenza, del Consumo e della Repressione delle Frodi (DGCCRF) aveva effettuato:
controlli in più di 100 stabilimenti dove solo lo 0,5% delle referenze verificate risulta in violazione. Tali anomalie, principalmente relative al rispetto delle regole di informativa al consumatore, saranno oggetto di sanzioni.
Ad ottobre si dovrebbe sapere qualcosa in più sui marchi coinvolti in questi controlli.
Nel frattempo, sono arrivate anche le reazioni delle aziende. Foodwatch in merito scrive che brand e grande distribuzione non negano ma non si impegnano (per il momento) ad essere più trasparenti.
In pratica, vista l’esposizione mediatica e la reazione del ministro, i marchi segnalati dalla campagna Foodwatch e dalla petizione (tutti francesi) sono stati costretti a reagire.
L’amministratore delegato di Système U, Dominique Schelcher, ha condannato la pratica della shrinkflation durante un dibattito in tv, ma non ha preso però alcun impegno concreto in merito.
Lindt France ha invece scritto all’organizzazione spiegando che:
il prezzo al chilogrammo è aumentato, riflettendo la volatilità e l’aumento dei costi delle (sue) operazioni.
Anche in questo caso, però, nessun impegno nell’informare in modo trasparente i consumatori dei cambiamenti di formato.
Altri marchi hanno addirittura incolpato i supermercati come Danone France, il cui servizio ai consumatori indica che:
Possiamo solo consigliare un prezzo di vendita che il distributore è libero di applicare o meno.
Anche se i produttori sembrano al momento non voler fare nulla per essere più trasparenti nei confronti dei consumatori, è evidente che l’opinione pubblica in questo caso è riuscita a fare molto, segno che non dobbiamo mai arrenderci di fronte all’esistenza di pratiche commerciali scorrette (anche se perfettamente legali).
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Fonte: Foodwatch
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