Addio “bistecche di soia” e “vegan burger”: vietato dare ai cibi vegetali nomi che fanno riferimento alla carne

Nell'ambito dell'ormai nota legge sulla carne coltivata, il Governo ha approvato anche il divieto di 'Meat Sounding', ovvero di fare riferimento in qualsiasi modo alla carne nei nomi di prodotti vegetali. La sua entrata in vigore però slitterà in attesa dell'ok della Commissione Europea"

A breve potremmo dire addio alle “bistecche di soia” e a ogni altro prodotto vegetale che utilizza nomi che fanno riferimento alla carne. Ciò non significa che questi prodotti spariranno da negozi e supermercati ma che tali alimenti dovranno cambiare nome.

Ci riferiamo al provvedimento del Governo noto come “Meat Sounding”. Questo dovrebbe entrare in vigore già il 16 dicembre ma è probabile che l’applicazione subirà uno slittamento in attesa di una pronuncia ufficiale da parte della Commissione Europea.

Il termine “Meat Sounding” si riferisce alla pratica di promuovere e vendere prodotti vegetariani o vegani utilizzando denominazioni che richiamano materie prime di origine animale, come “hamburger vegetali”, “bistecche di soia” o “salsicce vegane.” Il Governo ritiene che questa pratica sia ingannevole per i consumatori e li induce a credere di acquistare prodotti che contengono proteine di origine animale (una motivazione poco plausibile a nostro avviso!).

Per questo, nell’ambito del più ampio disegno di legge n. 1324 (quello sul divieto alla carne coltivata per indenderci) all’articolo 3 si afferma il “Divieto della denominazione di carne per prodotti trasformati contenenti proteine vegetali“. Questo introduce appunto il divieto di utilizzo della denominazione “carne”, per la produzione e la commercializzazione di prodotti trasformati contenenti esclusivamente vegetali. Sono vietati anche i riferimenti alle “specie animali”,  terminologie specifiche della macelleria, della salumeria o della pescheria, e nomi di alimenti di origine animale rappresentativi degli usi commerciali.

Questo per tutelare il:

Patrimonio zootecnico nazionale, riconoscendo il suo elevato valore culturale, socio-economico e ambientale, nonché un adeguato sostegno alla sua valorizzazione, assicurando nel contempo un elevato livello di tutela della salute umana e degli interessi dei cittadini che consumano e il loro diritto all’informazione.

L’obiettivo del Governo è chiaro: vietare la commercializzazione di prodotti vegetali con nomi che potrebbero confondere i consumatori e (forse soprattutto) tutelare gli interessi delle imprese zootecniche italiane.

Non esiste ancora una “black list” di prodotti vegetali che dovranno cambiare nome, ma ci si aspetta che venga definita entro il 16 febbraio 2024.

Favorevoli e contrari al nuovo provvedimento

Il provvedimento ha ricevuto il favore delle associazioni di categoria che rappresentano gli allevatori e settori specifici, che lo vedono come un modo per evitare la concorrenza sleale. Dall’altra parte, le aziende italiane che producono e commercializzano prodotti vegetali, come Valsoia e Findus, insieme a diverse realtà della grande distribuzione organizzata (GDO), si sono espresse contrarie al provvedimento.

Le imprese che si oppongono al provvedimento temono che questo possa penalizzare il settore italiano rispetto ai concorrenti europei e internazionali, potenzialmente spingendo le aziende a spostare le produzioni oltreconfine.

Andrea Panzani, Amministratore delegato e Direttore generale di Valsoia, ha dichiarato:

Il cambio di denominazione dei prodotti è un danno per i consumatori e per l’intero settore. Non è escluso, inoltre, che da questo obbligo siano esentati i brand esteri, con il paradosso di una penalizzazione per le aziende italiane rispetto ai concorrenti europei e internazionali: la conseguenza potrebbe essere una spinta a valutare lo spostamento delle produzioni oggi in Italia oltreconfine, anche se siamo fiduciosi che la Commissione Ue convinca il Parlamento italiano a rivedere le norme.

Il provvedimento prevede sanzioni pesanti per chiunque violi la normativa, con multe che possono variare da un minimo di 10.000 euro a un massimo di 60.000 euro o il 10% del fatturato totale annuo dell’azienda.

A livello internazionale, la Francia è stata una delle prime ad adottare misure simili e l’Italia sembra ora seguire la stessa strada, anche se recentemente i nostri cugini d’oltralpe hanno fatto dietrofront: Carne vegetale: sì, si può dire (sospeso il divieto anche in Francia).

A niente sembra essere servito l’appello alla Commissione Agricoltura della Camera dei deputati da parte di 34 associazioni italiane e internazionali che avevano chiesto di non procedere con la censura dei prodotti vegetali. Leggi anche:  “L’Italia vuole censurare i prodotti vegetali”: associazioni si mobilitano contro il divieto di usare i termini ‘burger’ e ‘salsiccia’ negli alimenti veg

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Fonte: Camera

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