Un nuovo test ha confrontato 15 confezioni di salmone affumicato, sia da allevamenti intensivi che selvaggio. I risultati hanno evidenziato significative differenze in termini di qualità nutrizionale, freschezza e contenuto di acidi grassi omega-3
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Il salmone affumicato è un alimento particolarmente amato per il suo sapore delicato e la versatilità in cucina. Durante le festività natalizie, poi, diventa protagonista di antipasti e primi piatti raffinati. Purtroppo, però, questo alimento nasconde un grande impatto ambientale, legato principalmente agli allevamenti intensivi.
Diverse inchieste hanno messo in luce le crudeltà e i problemi sanitari che caratterizzano questi impianti, dove il benessere degli animali è spesso sacrificato in nome della produttività. Leggi anche: Questo documentario ti farà perdere la voglia di mangiare salmone: la verità dietro gli allevamenti
Ma non è tutto: sembra che il salmone presenti anche alcune problematiche relative alla qualità dell’alimento stesso. Lo dimostra un recente test, condotto dagli esperti della rivista tedesca Saldo, su 15 marche di salmone, analizzate alla data di scadenza.
Ogni campione è stato valutato secondo i seguenti parametri:
- Qualità dei grassi: misurato il contenuto di grassi e acidi grassi omega sia 3 che 6
- Igiene: si è andati alla ricerca di germi aerobi mesofili, stafilococchi coagulasi positivi, salmonella, listeria, E. coli ed enterobatteri. Il numero di germi mesofili aerobici e enterobatteri è un indicatore di freschezza e igiene del prodotto
- Quantità: è stato pesato il contenuto di cinque confezioni per calcolare la quantità media di riempimento e confrontare il peso medio con il contenuto netto dichiarato sulla confezione
I risultati hanno evidenziato che quasi una confezione su tre non soddisfava le aspettative per quanto riguarda la freschezza alla data di scadenza e presentava un numero elevato di batteri. Solo due prodotti, invece, si sono distinti per la loro ottima qualità.
Salmone da allevamento e salmone selvaggio a confronto
Quando si acquista salmone affumicato, la scelta si limita a due opzioni: salmone selvaggio o salmone proveniente da allevamenti intensivi.
Il test di Saldo sottolinea che è preferibile optare per il salmone selvaggio dell’Alaska. Le due confezioni che si sono distinte nel test, infatti, acquistate da Globus e Denner, erano proprio di salmone selvaggio e presentavano carne ancora fresca alla data di scadenza oltre che più ricca di acidi grassi sani.
E c’è un motivo: in natura, i salmoni selvatici nuotano per migliaia di chilometri e si nutrono di larve di insetti, piccoli pesci e granchi, e ciò influenza positivamente il contenuto di acidi grassi nella loro carne.
Rispetto al salmone d’allevamento, quello selvaggio contiene una quantità maggiore di acidi grassi omega-3 rispetto agli omega-6, un aspetto particolarmente vantaggioso, soprattutto considerando che nelle diete dei paesi industrializzati gli omega-6, derivanti da oli vegetali e alimenti trasformati, sono spesso in eccesso.
Al contrario, il salmone d’allevamento non riceve un mangime adeguato alla specie, con conseguente aumento degli omega-6 a scapito degli omega-3. Questa alterazione non rappresenta un rischio immediato per la salute ma riduce la qualità nutrizionale della carne. Il test ha rivelato che quattro salmoni d’allevamento provenienti da Aldi, Coop e Migros presentano una distribuzione sfavorevole di acidi grassi, con un incremento significativo degli omega-6.
E per quanto riguarda i batteri?
Nonostante un miglioramento generale nell’igiene del salmone confezionato rispetto agli anni precedenti, con 11 prodotti su 15 risultati adeguati (tra questi la referenza di Lidl), alcuni marchi continuano a presentare gravi problemi.
Il salmone economico “Almare Seafood” di Aldi, ad esempio, ha mostrato oltre tre milioni di germi mesofili aerobici per grammo, insieme a 6.800 unità di stafilococchi, rendendo il prodotto poco appetitoso e potenzialmente pericoloso per la salute.
Anche altri marchi come Coop (elvetica) e Migros hanno presentato livelli di batteri superiori alle linee guida della Società tedesca di igiene e microbiologia.
La quantità di salmone dichiarata sulle confezioni non è poi sempre rispettata. Solo due prodotti, quelli della Globus e di Almare Seafood di Aldi, contenevano esattamente i 150 grammi netti dichiarati. In sette altri casi, le variazioni rientravano nella tolleranza legale del 4,5%, mentre in sei confezioni mancava più salmone del previsto. I rivenditori hanno però assicurato di rispettare le linee guida legali.
Il salmone biologico non è migliore
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il salmone biologico non si distingue in positivo. Il salmone proveniente da allevamenti intensivi in mare, inclusi quelli biologici o certificati ASC, presenta frequentemente problemi di parassiti e malattie.
Uno studio britannico ha rilevato che negli allevamenti biologici, un salmone su quattro muore prematuramente, contribuendo negativamente agli stock ittici selvatici e all’ambiente marino.
Leggi anche: Ti spiego se puoi davvero fidarti del salmone d’allevamento biologico
Nel caso di questo test, non ci interessano tanto le marche quanto l’indicazione generale: se proprio si desidera mangiare salmone, è meglio optare per quello selvaggio, che offre una qualità superiore e un impatto ambientale minore rispetto a quello proveniente da allevamenti intensivi.
Secondo il biologo ittico Yannick Rohrer, il consumo di salmone selvatico è consigliabile solo se proviene da stock non in pericolo, come quelli dell’Alaska e del Canada.
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Fonte: Saldo
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