“Tu non sei realmente green” e lo dico all’universo mondo. È più o meno questo il senso del “greenbickering”, neologismo ormai sulla bocca di tutti che sta ad indicare come un’azienda abbia ora la possibilità di agire contro un competitor in nome di una (non meglio identificata) sostenibilità ambientale
Tra i brand è lotta per smascherare chi è il meno green in assoluto, perché – si sa – quello che viene detto a noi consumatori in fatto di sostenibilità ambientale riguardo a un determinato prodotto non sempre corrisponde al vero. Anzi: secondo la Commissione europea, nel 42% dei casi le autorità ritengono ingannevoli e non veritiere le comunicazioni green delle aziende.
Da qui nasce il greenbickering, ovvero il battibecco green, quel nuovo fenomeno per cui un’azienda può agire contro un proprio concorrente per pratiche sleali, semmai dovesse accorgersi che utilizzi impropriamente la leva della sostenibilità aziendale per migliorare il suo percepito verso il mercato ed i consumatori e quindi per vendere di più.
È la lotta sulla base del caro vecchio greenwashing, dunque, proprio quello per cui dal gennaio del 2024 le grandi imprese dell’Unione europea saranno obbligate a rendere pubblici i dati sul loro impatto sull’ambiente, sulle persone, sul pianeta e sui rischi di sostenibilità a cui sono esposte.
Ne abbiamo parlato qui: Greenwashing: multinazionali e imprese obbligate a rendere pubblici i dati del loro impatto ambientale e sociale, la UE approva la CSRD
Le comunicazioni ingannevoli, le posizioni del Parlamento europeo
Un’indagine condotta dalla Commissione europea, dalle autorità nazionali di tutela dei consumatori insieme ad altre autorità internazionali, sotto il coordinamento della Ipcen (Consumer Protection and Enforcement Network) ha evidenziato, come dicevamo, che nel 42% dei casi le autorità hanno ritenuto ingannevoli e non veritiere le comunicazioni green, e quindi messo in atto pratiche commerciali sleali.
Inoltre, in più del 50% dei casi, le aziende non avrebbero dato ai consumatori informazioni sufficienti per valutare quanto comunicato in materia di ecosostenibilità, mentre nel 37% il claim conteneva formulazioni generiche, come ‘rispettoso dell’ambiente’, o ‘eco’ e nel 59% dei casi non venivano esplicitati elementi a supporto di quanto dichiarato.
Alla luce di ciò, il Parlamento europeo ha appena approvato – con 544 voti favorevoli, 18 contrari e 17 astensioni – la propria posizione negoziale sulla proposta di direttiva sulla responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde e contro il fenomeno del greenwashing.
Il progetto legislativo prevede di vietare l’uso di diciture green generiche come ad esempio “a impatto zero“, naturale, biodegradabile, amico della natura, ecologico se non debitamente comprovate, inserendole in un elenco di pratiche commerciali da considerarsi in ogni caso scorrette e quindi illecite.
Cosa vuol dire? Che una azienda, di contro, avra la possibilità di intentare causa per concorrenza sleale verso uno o più miei competitori che utilizzino marchi, slogan o diciture green non comprovate per vendere di più, quindi sottraendo mercato agli altri, o per ‘inverdire’ la propria immagine, ottenendo così ingiustamente un vantaggio competitivo rispetto agli altri”.
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Fonte: European Parliament
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