Fast fashion: l’Antitrust indaga su Shein per greenwashing (finalmente)

L'Antitrust ha avviato un'istruttoria su Shein per pubblicità ingannevole riguardo alla sostenibilità dei suoi prodotti, in altre parole: greenwashing

L‘Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha deciso (finalmente, diciamo noi!) di avviare un’istruttoria nei confronti di Shein, uno dei più noti marchi di fast fashion.

La piattaforma cinese era già finita al centro di una montagna di polemiche poco tempo fa, quando la rivista tedesca Oko-Test aveva denunciato la presenza di sostanze chimiche tossiche in alcuni prodotti in vendita sull’e-commerce. Leggi anche: Occhio ai vestiti Shein: sono pieni zeppi di sostanze tossiche (anche quelli per bambini)

Ora sembra che anche altri nodi stiano venendo al pettine. L’indagine dell’Antitrust è scattata per possibile pubblicità ingannevole relativa alle affermazioni di sostenibilità ambientale presenti sul sito italiano di Shein. Nel comunicato dell’Antitrust si legge:

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha avviato un’istruttoria nei confronti di Infinite Styles Services CO. Limited con sede a Dublino, che gestisce il sito web italiano di Shein, per la possibile ingannevolezza di alcune affermazioni ambientali contenute nelle sezioni “#SHEINTHEKNOW”, “evoluSHEIN” e “Responsabilità sociale” del sito shein.com.

Leggi anche: Dopo Primark, anche Shein lancia la collezione dalle bottiglie di plastica: il greenwashing dell’ultra fast-fashion è servito

Secondo quanto comunicato dall’Autorità, le affermazioni ambientali del sito italiano potrebbero risultare ingannevoli o omissive. In particolare, Shein è accusata di utilizzare messaggi vaghi e confusi riguardanti la circolarità e la qualità dei propri prodotti, cercando di presentarsi come un brand sostenibile.

L’istruttoria si basa su due principali aspetti:

  • Affermazioni vaghe sulla sostenibilità: Shein veicola un’immagine di sostenibilità senza fornire informazioni concrete e trasparenti. Le affermazioni riguardo alla collezione “evoluSHEIN” e alla quantità di fibre “green” utilizzate nei capi d’abbigliamento sono state giudicate fuorvianti
  • Contraddizioni nei rapporti di sostenibilità: mentre Shein promuove il proprio impegno nella decarbonizzazione, i rapporti sulla sostenibilità del 2022 e 2023 evidenziano un incremento significativo delle emissioni di gas serra. Una discrepanza che ovviamente fa dubitare del marchio

Shein si starebbe approfittando dell’aumentata consapevolezza ambientale dei consumatori veicolando però messaggi non veritieri. Come scrive l’Antitrust:

Secondo l’Autorità, a fronte della crescente sensibilità dei consumatori per l’impatto delle loro scelte di consumo sull’ambiente, la società cercherebbe di veicolare un’immagine di sostenibilità produttiva e commerciale dei propri capi d’abbigliamento attraverso asserzioni ambientali generiche, vaghe, confuse e/o fuorvianti in tema di “circolarità” e di qualità dei prodotti e del loro consumo responsabile. Anche alcune informazioni presenti su “evoluSHEIN”, la collezione di abbigliamento dichiarata “sostenibile” dalla società, potrebbero indurre in errore i consumatori riguardo alla quantità utilizzata di fibre “green”, omettendo anche di informarli sulla non ulteriore riciclabilità dei capi d’abbigliamento.

Martina Donini, presidente nazionale di Udicon (Unione per la difesa dei consumatori) ha così commentato la notizia dell’istruttoria su Shein:

La trasparenza nelle comunicazioni commerciali è fondamentale, soprattutto su temi cruciali come la sostenibilità ambientale. È preoccupante che nonostante la crescente consapevolezza dei consumatori, possano circolare messaggi fuorvianti, sfruttando questa sensibilità senza fornire informazioni veritiere, attendibili e verificabili. L’istruttoria avviata dall’AGCM solleva dubbi sul fatto che i consumatori possano essere ingannati da pratiche che sfruttano l’importanza attribuita alla sostenibilità. Quando le aziende non sono trasparenti o adottano comunicazioni ambigue, si tradisce la fiducia di chi vuole contribuire alla tutela dell’ambiente. Il greenwashing, se confermato, rappresenta un doppio danno, per l’ambiente e per i consumatori, illusi da promesse non mantenute. Le affermazioni aziendali devono essere supportate da azioni concrete, altrimenti rischiano di essere solo specchietti per le allodole, nascondendo pratiche ben lontane dalla vera sostenibilità. Continuare a promuovere un modello di fast fashion senza considerare l’impatto ambientale è irresponsabile. Se confermate, Shein dovrà rispondere di queste pratiche. L’istruttoria deve essere un monito per tutto il settore della moda: i consumatori non accetteranno più compromessi sulla trasparenza. Il futuro delle aziende dipenderà dalla loro capacità di affrontare con serietà le sfide per la tutela dell’ambiente.

Questa indagine però è solo un primo passo. Oltre alla pubblicità ingannevole sulla sostenibilità, ci sono molti altri aspetti da approfondire di Shein (e in generale degli altri colossi della fast fashion), come la presenza di sostanze tossiche in vestiti e oggetti venduti su questi portali, le condizioni di lavoro dei dipendenti, l’origine dei materiali, ecc. Questi temi meritano altrettanta attenzione, e speriamo che l’istruttoria dell’Antitrust apra la strada a nuove e più ampie indagini sulle pratiche del brand.

È tempo di fare chiarezza e responsabilizzare le aziende della fast fashion.

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Fonte: AGCM

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