Il logo, arcinoto a livello planetario, schiacciato, a significare l’importanza di un rifiuto da riciclare. Così Coca Cola lancia in America Latina – dove il Sistema Coca-Cola è potentissimo – una nuova campagna out-of-home che celebra il riciclo di lattine e bottiglie. E no, non possiamo fare a meno di parlare di greenwashing
Possono fare quello che vogliono se poi, guardando in profondità, rimangono sempre gli stessi interessi lobbistici e le stesse dinamiche di produzione sottaciute. Motivo per cui nemmeno la nuova campagna “Recycle Me” ci fermerà dal sostenere che sì, signori, siamo dinanzi all’ennesimo caso di greenwashing.
Non basterà infatti la potenza del logo Coca-Cola, modificato e “schiacciato” a mo’ di lattina pronta al riciclo per degli spot che verranno lanciati nelle principali città dell’America Latina (la “patria” della produzione della bevanda), tra cui Buenos Aires, Argentina, Brasile e Messico, per spacciarsi come una multinazionale attenta all’ambiente e all’etica.
Come parte dell’impegno della Coca-Cola di riciclare tutti i loro packaging entro il 2030, WPP Open X, guidato da Ogilvy New York, ha usato il potere dell’iconico logo della sceneggiatura del marchio per ispirare le persone a rendere il riciclo parte della loro esperienza quotidiana, si legge su Instagram.
“Ispirar”, va bene, ma cosa c’è dietro a quella scritta bianca su sfondo rosso che si “accartoccia” raffigurando il modo in cui sarebbe il logo se le lattine vuote venissero schiacciate per essere gettate e poi riciclate?
Il punto è che quelle lattine, e quelle bottiglie, continuano a rappresentare un inquinamento immane.
Greenwashing, proprio così
Coca-Cola ancora produce circa 3milioni di tonnellate all’anno di bottiglie in plastica, circa 200mila bottiglie al minuto per un totale di 100 miliardi in un anno.
Ecco perché la multinazionale svetta ancora come primo produttore al mondo di rifiuti di questo materiale.
Non solo plastica: anche il ricorso all’acqua è spropositato. Un report del 2017 confermò che multinazionali come Coca Cola, o Pepsi e Danone, stanno prosciugando Paesi come il Messico, grazie a speciali concessioni per lo sfruttamento delle falde acquifere e a tasse irrisorie.
Infine, dallo stesso rapporto, al quale hanno collaborato 101 organizzazioni umanitarie, è emerso anche che la Coca Cola paga 2 mila e 600 pesos per ciascuna delle 46 concessioni per il prelievo delle acque sotterranee all’anno (un totale, dunque, che non arriva a 120 mila pesos), ma solo nel 2007 ha ottenuto guadagni per 32 miliardi e 500 milioni di pesos.
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