Indice
Il cotone egiziano è considerato il più prestigioso e di qualità al mondo ma, anche nel caso di questo prodotto, possiamo trovarci di fronte ad un problema di contraffazione, così come avviene anche per gli alimenti. Controllare tutta la filiera è spesso complicato ma alcuni grandi marchi si stanno affidando ad un’azienda in grado di fare indagini capillari sulle materie prime.
In un approfondimento su The Guardian si fa il punto della situazione su un tema di cui si parla poco: la possibile presenza sul mercato di cotone egiziano contraffatto e più in generale della falsificazione dei prodotti e delle strategie per arginare questo problema.
Il cotone egiziano è considerato il migliore al mondo per via delle sue fibre lunghe e setose in grado di essere filate in tessuti morbidi e lussuosi. Cinque anni fa, il colosso tessile Welspun si è trovato impantanato in uno scandalo che ruotava proprio intorno al suo prestigioso cotone egiziano.
All’epoca, l’azienda produceva più di 45 milioni di metri di lenzuola all’anno che vantavano in etichetta la scritta “100% cotone egiziano“.
Lo scandalo del falso cotone egiziano
Alcune indagini hanno scoperto che, anche in quanto al cotone, non sempre ci si può fidare dell’etichetta. Nel 2016, Target (catena di negozi degli Stati Uniti) ha condotto un’indagine interna che ha portato a una scoperta scioccante: circa 750.000 tra lenzuola e federe in “cotone egiziano” Welspun erano in realtà realizzate con un tipo di cotone di minore qualità e che non proveniva affatto dall’Egitto.
In quell’occasione i clienti sono stati rimborsati e immediatamente chiusi i rapporti con Welspun, considerato non più affidabile. Anche altri rivenditori, controllando la biancheria che vendevano, hanno trovato lenzuola dello stesso marchio falsamente etichettate come “cotone egiziano”.
Welspun dal canto suo ha faticato nel cercare di capire cosa fosse successo. La catena di approvvigionamento dei prodotti, che vanno dalla fattoria di origine del cotone allo scaffale del negozio, sono infatti molto complesse e poco trasparenti.
The Guardian fa un esempio molto chiaro di quanto possa essere nebulosa l’origine del cotone così come del resto della filiera che porta alla vendita di una maglietta:
Una maglietta venduta a Nuova Delhi potrebbe essere fatta di cotone coltivato in India, mescolato con altro cotone dall’Australia, filato in Vietnam, tessuto in stoffa in Turchia, seminato e tagliato in Portogallo, acquistato da un’azienda norvegese e rispedito in India – e questa è una catena di approvvigionamento relativamente semplice.
La filiera del cotone è complessa ma c’è chi punta all’analisi dei tessuti
Da anni Welspun comprava cotone grezzo, filati e tessuti interi, tutti dichiarati di origine egiziana, provenienti da decine di venditori. Cosa potrebbe essere andato storto dunque? Magari una spedizione etichettata erroneamente così come invece una frode deliberata da parte di qualche fornitore. Il problema è che, data la complessità di risalire a tutti i passaggi, i dubbi di fondo sono rimasti.
Nella complessa rete del commercio internazionale, dimostrare l’autenticità di un prodotto può essere quasi impossibile ma c’è una società che ci sta provando, puntando sull’analisi dei tessuti. Si tratta della Oritain, fondata nel 2008 in Nuova Zelanda, una sorta di agenzia investigativa forense che controlla la filiera. E proprio a questa società si è rivolta Welspun per capire meglio come è stato possibile vendere cotone egiziano che egiziano non era.
Come spiega The Guardian:
Il suo lavoro, che ci porta nel cuore del commercio moderno, dipende da una verità fondamentale sul nostro pianeta. La Terra è così geologicamente diversa che, nel suolo o nell’acqua di un luogo, le concentrazioni precise di elementi spesso risultano essere uniche per quella regione. Quel singolare mix di elementi si fa strada anche nelle colture della regione, così che il cotone coltivato nel sud degli Stati Uniti ha una diversa combinazione di elementi rispetto al cotone egiziano – ogni combinazione distinta, come una firma.
Il professor Russell Frew, il geochimico che ha co-fondato Oritain, è convinto che questo tipo di ricerca possa svelare subito eventuali frodi in commercio, e non solo relative al cotone ma anche ad esempio a carne etichettata in un certo modo e in realtà mescolata con altre tipologie, allo sciroppo di zucchero al posto del miele, all’olio extravergine tagliato con olio più scadente e tanto altro. Per quanto riguarda il cotone, si può capire ad esempio se proviene dallo Xinjiang, in Cina, dove si sospetta che le fabbriche utilizzino il lavoro forzato.
Oritain promette di determinare con un’accuratezza del 95% se un chicco di caffè o un taglio di carne proviene davvero dalla fonte riportata in etichetta.
Come dicevamo, non sempre le aziende falsificano volontariamente i propri prodotti (anzi fortunatamente questi casi sono la minoranza), più comunemente le materie prime vengono accidentalmente mescolate in qualche passaggio delle catene di approvvigionamento. Può capitare però anche che siano terze parti a spacciare merci di bassa qualità come prodotti di alta qualità.
Ma tornando al falso cotone egiziano, quando Welspun si è rivolta a Oritain in seguito allo scandalo, era già troppo tardi per scoprire con precisione dove erano stati commessi gli errori. Il cotone scadente era passato attraverso le fabbriche di Welspun, era stato trasformato in lenzuola, venduto e gli acquirenti ci avevano già dormito. Ma l’azienda voleva quanto meno rassicurare i suoi rivenditori che un fatto grave del genere non sarebbe più accaduto.
Oritain dunque si è occupata di fare controlli regolari sulla catena di approvvigionamento dell’azienda ed è andata anche direttamente in Egitto, in Australia e negli altri paesi da cui proveniva il cotone, per raccogliere campioni dai vari fornitori.
La filiera in questo modo era decisamente più affidabile e perciò, da maggio 2021, Target ha accettato di ricominciare a vendere prodotti Welspun.
Non tutte le aziende effettuano controlli dettagliati sulle filiere
Il problema è che non tutte le aziende effettuano controlli capillari di questo tipo e, nonostante Ortain abbia clienti importanti (come ad esempio Primark o enti del settore come Cotton USA), la maggior parte delle aziende non conosce nel dettaglio le catene di approvvigionamento dei propri prodotti, composte da tante aziende, commercianti, aggregatori, agenti e intermediari. I grandi marchi, di fatto, conoscono solo uno o due livelli, i più vicini a loro.
Il cotone più di altri materiali ha questo problema in quanto la provenienza può essere molto diversa, così come il tipo di lavorazione che è un’attività complessa e richiede tanti passaggi diversi in luoghi diversi. L’origine del cotone può dunque essere facilmente oscurata e i rischi che questo può generare sono sostanzialmente due:
- trovarsi alle prese con cotone di qualità inferiore a quella pubblicizzata, come è successo a Welspun
- scoprire che dietro al cotone vi sono condizioni di lavoro disumane che ledono i diritti di chi coltiva o lavora questo materiale.
Recentemente vi abbiamo parlato dello scandalo che ha riguardato alcuni marchi noti (tra cui H&M e Nike), accusati di acquistare cotone proveniente dallo Xinjiang, in Cina, dove si utilizza il lavoro forzato. Leggi anche: Chi sono gli Uiguri, la minoranza etnica musulmana che ora è al centro della decisione della Cina di boicottare H&M e Nike
Nonostante gli sforzi degli operatori di Oritain (che sono già un buon inizio per fare chiarezza), questo lavoro non può certo bastare considerando che, una volta individuati i problemi nella catena di approvvigionamento, servirebbe anche risolverli prontamente e questo lo possono fare solo le aziende stesse e i governi.
Seguici su Telegram | Instagram | Facebook | TikTok | Youtube
Fonte: The Guardian
Leggi anche:
- Fast fashion: così Shein ha rilasciato false dichiarazioni sulle condizioni di lavoro delle sue fabbriche
- In tutto il mondo la fast fashion non paga i lavoratori delle fabbriche (e fa scontare loro la crisi del Covid-19)
- Da Armani a Benetton: tutti i colossi della moda europei che sfruttano i lavoratori in Romania
- Lo scandalo dei bambini siriani sfruttati nelle fabbriche di abbigliamento: le aziende coinvolte
- Etiopia: le mani operaie di HM, Guess e Calvin Klein guadagnano appena 26 dollari al mese