Non è tutt’oro quel che luccica: la docuserie che racconta la storia della moda, tra luci e ombre

Una nuova docuserie Sky Original, in onda dal 24 febbraio, racconta la storia della moda italiana: dalle origini gloriose alle influenze estreme della fast fashion, che non conosce regole in fatto di materia ambientale né rispetto alcuno per le maestranze tessili

La moda oggi? Un coacervo di dimensioni stratificate nel corso di più decenni, un insieme di idee e culture e opinioni che, sulle passerelle, non impongono limiti. La moda è forma d’arte, espressione viva, che non conosce nemmeno più differenze di genere, laddove il divario maschio-femmina non esiste più.

La moda detta legge scardinando stereotipi (anche quelli legati alla bellezza di un corpo estremamente magro), quindi, include e si evolve aprendo nuove strade. Ma è tutt’oro quel che luccica? Non esattamente. Non solo riviste patinate: dietro all’industria della moda c’è, oggi, una lista lunga così di diritti calpestati e di impatti ambientali devastanti. No, non va tutto bene.

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Anno dopo anno, a ripercorrere la storia delle fasi cruciali della moda italiana, attraverso interviste e archivi personali, ci pensa “Moda. Una rivoluzione italiana”, la nuova docuserie Sky Original (con la regia di Laura Chiossone e la consulenza scientifica di Sofia Gnoli), in esclusiva dal 24 febbraio alle 21.15 su Sky Documentaries e in streaming solo su NOW.

Il documentario in quattro episodi è un viaggio nella moda e nello stile italiani, a partire dai primi decenni del 1900 fino ai giorni nostri, quelli segnati anche da una tragica sovrapproduzione, dall’ultra fast-fashion e, in molti casi, anche da un deleterio greenwashing.

La moda di oggi è sotto la scure della fast-fashion, con lo spauracchio del greenwashing

La moda può essere molto deleteria. Se non ci sarà una sovversione finiremo male. Io apro il mio armadio, la mattina, e mi spavento. Dico: devo campare 600 anni a usare tutte queste camicie! Però continuo a comprare camicie, ma come mai? Com’è che facciamo tutti così? Tutto questo è spreco.

Così sentenzia a giusta ragione, nel quarto episodio, il fotografo Oliviero Toscani. Attraverso le sue parole passa un concetto basilare: anche la moda sta capitolando alle regole del “tutto veloce”. Nel comparto del tessile c’è una urgenza su cui non è possibile più sorvolare: quella sovrapproduzione, ossia stiamo producendo troppo di tutto. Eppure non abbiamo bisogno di tutta questa roba.

https://www.instagram.com/reel/C3kVPCCP-7A/

Oggi noi abbiamo una industria della moda che è la seconda più inquinante al mondo – dice Marina Spadafora, ambasciatrice di moda etica nel mondo. Quindi dal punto di vista ambientale non abbiamo una bella reputazione.

Se la moda è lo specchio dei tempi, insomma, che cambia e viene cambiata dal tessuto storico, sociale ed economico del Paese, quanto vero è che sente le pressioni di quella stessa struttura socio-economica che, volenti o nolenti, subisce le ferree regole del mercato?

Già, il mercato. Lo si evidenzia bene nel quarto episodio, in cui si chiarisce un punto: ormai le notizie sulla moda sono diventate immediatamente disponibili sui cellulari e ciò le ha rese accessibili a tutti. Nel contempo, sono sorte in Asia megafabbriche pronte a produrre quella stessa moda rapidamente e così la gente ha avuto la sensazione di una “democratizzazione” della moda: abiti di stile ma a prezzi decisamente irrisori, perché non approfittarne?

Il classico fumo negli occhi della fast-fashion, che ci fa dimenticare un dato importante: spesso dimentichiamo un aspetto tra i più tristi della fast fashion, ossia che vestiti ed accessori finiscono presto in discarica e devono essere smaltiti, con tutto ciò che questo comporta in termini ambientali.

Come ovviare a tutto questo? Garantirsi che l’azienda che produce i vestiti che scegliamo sia lontano dal fare greenwashing ma sia realmente sostenibile. Che è un po’ come trovare un ago in un pagliaio, soprattutto alla luce di quanto racconta chi nella moda ci lavora:

Quando sono nate le prime necessità ambientali, tutti si sono buttati sul green. Ma ricordo anche di PR che ti invitano alla sfilata e ti dicono ‘vieni che c’è un jeans sostenibile’, poi cosa sia un jeans sostenibile in un evento che ha comportato un consumo scellerato di risorse è un’altra storia.

Ma oggi “le bugie finiscono in rete e vengono scoperte”, conclude la docuserie. Ed è l’arma più potente che abbiamo.

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