Turni infernali, lavoro a cottimo, con personale costretto a dormire sul pavimento per produrre capi di abbigliamento che troppo spesso vengono gettati dopo pochi utilizzi: l’ennesimo video che mostra cosa c’è dietro la fast fashion
Ancora una volta un video, postato da @juju_the_mystic e ricondiviso da @ecotalkfrance, ha mostrato le drammatiche condizioni di lavoro delle fabbriche di fast fashion in Cina, una su tutte quelle a capo al colosso Temu.
Gli operai, spesso costretti a lavorare turni estenuanti di 14 ore al giorno, guadagnano salari miseri che non consentono una vita dignitosa. Le condizioni di vita sono altrettanto terribili, con molti costretti a dormire sul pavimento delle fabbriche stesse. Questa situazione può essere descritta come una forma di schiavitù moderna, dove i diritti dei lavoratori sono sistematicamente violati per soddisfare le esigenze di un mercato della moda insaziabile.
Le fabbriche producono una quantità incredibile di abiti, con Temu che introduce fino a 10.000 nuovi modelli al giorno sul suo sito web. Questa produzione massiva porta ad un secondo problema che si aggiunge allo sfruttamento dei lavoratori: la gestione degli scarti. Gli abiti invenduti sono spesso bruciati, contribuendo a un inquinamento significativo.
L’impatto ambientale di queste fabbriche è devastante
Inoltre gli abiti acquistati hanno una vita media brevissima e nella gran parte dei casi possono essere indossati solo sette volte prima di essere gettati via. L’impatto ambientale di questa produzione è devastante. Le fabbriche cinesi di moda emettono oltre 20.000 tonnellate di CO2 al giorno, aggravando il problema del cambiamento climatico. Questo contributo massiccio all’inquinamento è solo una parte del problema, poiché anche il consumo di risorse naturali per la produzione di tessuti è insostenibile.
Nonostante gli scandali e le crescenti critiche, il settore della moda cinese continua a prosperare. Nel 2022, la Cina ha esportato 3,3 miliardi di capi di abbigliamento in Francia, dimostrando che la domanda per la moda a basso costo rimane alta. Questa dinamica suggerisce che c’è ancora molto lavoro da fare per sensibilizzare i consumatori e promuovere pratiche di consumo più sostenibili.
La realtà delle fabbriche di moda in Cina rappresenta dunque un grave problema etico e ambientale. È necessario un cambiamento radicale nel modo in cui consumiamo la moda, sostenendo pratiche di produzione e consumo più etiche e sostenibili. Solo così possiamo sperare di mitigare l’impatto devastante di questa industria sul nostro pianeta e sulle vite delle persone che vi lavorano.
La replica di Temu
Dopo la pubblicazione del nostro articolo siamo stati contattati da Temu, che ci ha inviato la seguente replica:
Temu dichiara che il magazzino mostrato nel video non è in alcun modo affiliato alla propria azienda, evidenzia che si tratta di informazioni errate che circolano in rete. Pertanto si richiede cortesemente se fosse possibile rimuovere il video.
Per quanto concerne le politiche contro lo sfruttamento del lavoro, Temu si impegna a promuovere pratiche lavorative etiche. Il Codice di Condotta di Temu per le Terze Parti vieta categoricamente qualsiasi forma di lavoro forzato, minorile o penale. Inoltre, richiede il rispetto totale di tutte le leggi locali sul lavoro, comprese quelle relative a salari, orari di lavoro, impiego volontario, libertà di associazione e diritto alla contrattazione collettiva.
Il rispetto incondizionato di tali normative è una priorità assoluta per Temu, e si riserva il diritto di interrompere qualsiasi rapporto con qualsiasi impresa che violi il Codice di Condotta o la legge in materia di lavoro. Gli standard e le pratiche di Temu sono allineati con quelli delle principali piattaforme di e-commerce degli Stati Uniti, tra cui Amazon, eBay ed Etsy. Pertanto, qualsiasi accusa di violazione delle pratiche lavorative etiche è totalmente infondata.
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