Le fabbriche indiane del Karnataka che riforniscono i principali marchi di moda, non pagano ai propri dipendenti il salario minimo legale.
Le fabbriche indiane del Karnataka che riforniscono alcuni dei principali marchi di moda non pagano ai propri dipendenti il salario minimo legale da circa 20 mesi.
I lavoratori dell’abbigliamento per i grandi marchi nello stato indiano del Karnataka affermano che le loro famiglie stanno morendo di fame perché le fabbriche si rifiutano di pagare loro un salario minimo legale. Una nuova denuncia che mette in luce le inammissibili e inumane condizioni di lavoro con cui vengono prodotti alcuni dei nostri vestiti.
Il Karnataka è uno dei centri dell’industria dell’abbigliamento indiana, con migliaia di fabbriche che producono abbigliamento per marchi e rivenditori come H&M, Nike, Zara, Puma, Tesco, C&A, Gap e Marks & Spencer. Ospitante centinaia di migliaia di lavoratori, questo potrebbe essere il più grande furto salariale nell’industria della moda.
Infatti, secondo i dati del Worker Rights Consortium – WRC, un’organizzazione indipendente che si occupa dei diritti dei lavoratori in tutto il mondo, dall’aprile del 2020 più di 400.000 dipendenti di queste fabbriche non ricevono il salario minimo legale dello stato. Dall’associazione, stimano che l’importo totale degli stipendi finora non corrisposti superi i 44 milioni di euro.
Se avessero aumentato il nostro stipendio l’anno scorso, avremmo mangiato verdura almeno un paio di volte al mese. Quest’anno ho dato da mangiare alla mia famiglia solo riso e salsa chutney (…) Ho provato a parlare con la direzione dello stabilimento, ma mi hanno risposto: ‘Questo è ciò che paghiamo, se non ti piace, puoi andartene’”, ha dichiarato una lavoratrice al The Guardian, rivelando di guadagnare solo la metà di ciò di cui ha bisogno per coprire le spese di base come il cibo e l’affitto.
Uno sfruttamento dalle dimensioni enormi di cui i grandi marchi, che vengono riforniti da queste fabbriche, sono anche protagonisti, dal momento che di fronte a questa situazione hanno mostrato solamente una tanto vergognosa quanto brutale “indifferenza e inerzia”.
In termini di numero di lavoratori colpiti e quantità totale di denaro rubato, questo è il furto di buste paga più eclatante che abbiamo mai visto. I bambini nelle fabbriche di abbigliamento muoiono di fame per permettere ai marchi di guadagnare denaro”, ha dichiarato Scott Nova, direttore esecutivo del WRC.
Nonostante le insistenti richieste del WRC negli ultimi due anni, i marchi occidentali si sono rifiutati di intervenire o non hanno adottato alcuna misura per garantire che i lavoratori dell’abbigliamento siano pagati in linea con la legge indiana.
I fornitori di abbigliamento si rifiutano di pagare il salario minimo legale da quasi due anni e i marchi li lasciano continuare, sapendo che sono gli unici in grado di fermare questo diffuso furto salariale”, ha affermato indicando che “pagare il salario minimo è, infatti, il livello più basso di responsabilità dei brand nei confronti dei propri dipendenti. Se non insistono nemmeno a pagare i soldi, permetteranno anche che le violazioni dei diritti umani su larga scala continuino impunemente”.
Se c’è un salario minimo legale, perché non si applica?
I fornitori di abbigliamento affermano che il Ministero del Lavoro e dell’Occupazione ha emesso un decreto per sospendere l’aumento del salario minimo poco dopo che è entrato in vigore nell’aprile 2020 e che una relativa azione legale è ancora pendente nei tribunali del Karnataka per la richiesta dell’aumento.
Lo scorso settembre però l’Alta Corte del Karnataka ha stabilito che la richiesta del Ministero del Lavoro era illegale e che il salario minimo, compresi tutti gli arretrati, doveva essere pagato ai lavoratori indipendentemente da qualsiasi altro procedimento legale. Nonostante ciò – come comunicato dal WRC – i fornitori di abbigliamento sono l’unico settore industriale del Karnataka che rifiuta di adeguarsi alla decisione del tribunale.
I lavoratori del Karnataka, i cui nomi non sono menzionati per essere protetti, hanno affermato che la mancanza di aumenti salariali di fronte all’aumento del costo della vita ha avuto conseguenze devastanti per le loro vite e quelle delle loro famiglie, specialmente quelle dei loro figli.
Secondo l’inchiesta, Inditex, proprietario di Zara, ha rifiutato di commentare, mentre marchi come H&M, The Gap, Puma e altri hanno affermato di aver contattato i fornitori in Karnataka per pagare ai lavoratori il salario minimo legale, compresi tutti gli arretrati, e che si aspettavano che il problema fosse risolto “immediatamente”.
Questa è l’altra faccia dei nostri capi d’abbigliamento a basso costo (e non solo): diritti dimenticati e sfruttamento. Oltre che sulla sostenibilità dei materiali, è doveroso informarsi bene anche sulle condizioni di lavoro di chi produce i nostri vestiti.
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Fonte: The Guardian / WRC
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