Fast fashion, sai che fine fanno i tuoi vestiti usati? Ogni settimana 15 milioni vanno a inquinare tutto il Ghana

Di "seconda mano" non è detto sia sostenibile, anzi. Quegli indumenti usati che esportiamo a tonnellate finiscono per inquinare i Paesi che li ricevono. Solo ogni 7 giorni circa 15 milioni di vecchi vestiti arrivano nel mercato di Kantamanto, in Ghana, e quasi la metà di questi indumenti è invendibile

La fast fashion, la moda ultraveloce, è alla base di un disastro ambientale e di salute pubblica che si sta verificando (anche) in Ghana, a causa dei crescenti volumi di esportazioni dal Nord del mondo di vestiti scartati, principalmente vestiti di seconda mano e inutilizzati. Quasi la metà di questi vestiti è di scarsa qualità e molti sono realizzati in fibre sintetiche tra cui poliestere, nylon, acrilico, senza un briciolo di valore di rivendita.

Sono i dati che emergono da un nuovo scioccante rapporto di Greenpeace Africa e Greenpeace Germania, “Fast Fashion, Slow Poison: The Toxic Textile Crisis in Ghana”, che ha documentato il destino di questi indumenti una volta che vengono gettati via dai venditori ambulanti nel più grande mercato dell’usato di Accra, Kantamanto.

Mentre la maggior parte di questi vestiti di scarto finisce in diverse discariche informali della città, abbiamo scoperto che volumi significativi di rifiuti tessili vengono raccolti anche dal mercato di Kantamanto e bruciati come combustibile per far bollire l’acqua per una serie di lavanderie pubbliche nell’insediamento vicino, Old Fadama.

I campioni raccolti da Greenpeace mostrano che l’aria dei tre bagni pubblici era contaminata da numerose sostanze chimiche pericolose, molte delle quali ben al di sopra degli standard di sicurezza europei. Tra queste, composti cancerogeni come il benzene e gli idrocarburi poliaromatici (IPA), esponendo così i lavoratori, clienti e le persone che vivevano nelle vicinanze a sostanze chimiche tossiche.

ghana indumenti fast fashion

@Greenpeace

Il report

Ogni settimana, circa 15 milioni di vecchi vestiti arrivano a Kantamanto, il secondo mercato di abiti usati più esteso del Ghana, ma quasi la metà di questi indumenti è invendibile. Per volumi importati, il Ghana è anche la seconda destinazione di abiti di seconda mano provenienti dal Continente europeo.

L’Italia è la nona esportatrice a livello mondiale, terza in Europa, dietro a Belgio e Germania: soltanto nel 2022 da parte nostra sono arrivate in Ghana quasi 200 mila tonnellate di indumenti usati.

export abbigliamento usato

@Greenpeace

Inoltre, i primi dieci brand di capi invenduti nel mondo siano tutti marchi del fast fashion, tra cui:

  • H&M
  • Zara
  • Primark
  • SHEIN

Che fine fanno dunque i vestiti usati?

Molti dei vestiti usati che arrivano in Ghana finiscono in discariche abusive o vengono bruciati nei lavatoi pubblici, contaminando l’aria, il suolo e le acque, mettendo di conseguenza a rischio la salute delle comunità locali. I campioni d’aria prelevati da Greenpeace dai lavatoi pubblici nell’insediamento Old Fadama ad Accra mostrano livelli pericolosamente elevati di sostanze tossiche, incluse sostanze cancerogene come il benzene e altri idrocarburi policiclici aromatici (IPA). Le analisi condotte dall’organizzazione ambientalista sugli abiti hanno inoltre rivelato che circa il 90% è costituito da fibre sintetiche come il poliestere, contribuendo alla diffusione di microplastiche nell’ambiente.

L’accumulo di rifiuti tessili sta anche soffocando gli habitat naturali, inquinando i fiumi e creando vere e proprie “spiagge di plastica” lungo la costa.

ghana fast fashion

@Greenpeace

Le prove da noi raccolte mostrano chiaramente che l’industria del fast fashion non è soltanto un problema del settore moda, ma una crisi sanitaria pubblica a tutti gli effetti: questi indumenti stanno letteralmente avvelenando la popolazione di Accra – dichiara Sam Quashie-Idun, autore del report di Greenpeace. La situazione in Ghana riflette una mentalità neocoloniale in base alla quale il Nord del mondo trae profitto dalla sovrapproduzione e dagli sprechi, mentre Paesi come il Ghana ne pagano il prezzo. È tempo per un trattato globale che affronti questo squilibrio e protegga le comunità dai danni causati dal fast fashion.

Cosa fare? Chiedere al Governo ghanese un divieto di importazione degli scarti, magari, limitando l’import ai soli indumenti che possano essere realmente riutilizzati, dicono da Greenpeace, che chiede infine che i marchi di moda siano responsabili dell’intero ciclo di vita dei loro prodotti, incluso lo smaltimento dei rifiuti e il loro riciclo, nell’ambito di un EPR globale (Responsabilità estesa del produttore).

Quanto sarà fattibile?

QUI trovi il report completo.

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