Il Parlamento e il Consiglio dell’Unione europea hanno raggiunto un accordo provvisorio per l’aggiornamento del cosiddetto Regolamento “Ecodesign” che ha l’obiettivo di rendere i prodotti sostenibili fin dalla progettazione: si (ri)parte dal divieto della distruzione dei prodotti tessili invenduti. Bene ma non benissimo: manca del tutto il divieto di disitruzione dei prodotti tecnologici
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Intesa provvisoria trovata, in Europa, per l’aggiornamento del cosiddetto Regolamento “Ecodesign”, che renderà (almeno sulla carta) più durevoli e affidabili i prodotti durante il loro ciclo di vita, più facili da riutilizzare, aggiornare, riparare e riciclare. E si parte, finalmente, dal divieto per le imprese di distruggere i prodotti tessili e calzature che rimangono invenduti.
Il nuovo regolamento (Regolamentazione sull’Ecodesign per Prodotti Sostenibili – ESPR) sostituisce l’attuale direttiva del 2009 e introduce, tra l’altro, anche contiene nuove misure “per porre fine alla pratica dannosa e dispendiosa per l’ambiente di distruggere i prodotti di consumo invenduti“.
Solo un paio di mesi fa un’indagine condotta in Svizzera dalla rivista dei consumatori K-Tipp aveva rivelato che fino ad un terzo della merce nei negozi di abbigliamento locali finisce incenerita e che – secondo l’Ufficio europeo dell’ambiente – nel 2021, nell’Unione Europea, i rivenditori di abbigliamento hanno distrutto capi nuovi e mai indossati per almeno 2,9 miliardi di franchi. Può darsi che d’ora in poi le cose cambino traiettoria.
Il nuovo Regolamento
Per il momento quello che è stato concordato è il divieto di distruzione di:
- abbigliamento
- accessori di abbigliamento
- calzature
che rimangano invenduti, a partire due anni dopo l’entrata in vigore della legge (sei anni per le medie imprese). In futuro, la Commissione potrebbe aggiungere ulteriori categorie all’elenco dei prodotti invenduti per i quali dovrebbe essere introdotto un divieto di distruzione.
Inoltre, al di fuori del settore tessile, coloro che distruggono le merci invendute saranno tenuti comunicare annualmente le quantità di prodotti di cui si sono disfatti e le relative motivazioni.
Si prevede che ciò disincentiverà fortemente le imprese dal partecipare a questa pratica – dicono dalla Commissione Ue. Per Bruxelles, l’insieme delle regole introdotte “favorirà la creazione di posti di lavoro nei settori della manutenzione, del riutilizzo, del riciclaggio, della ristrutturazione, della riparazione e della vendita di oggetti di seconda mano. Si stima che tali attività creeranno da 30 a 200 volte più posti di lavoro rispetto allo smaltimento in discarica e all’incenerimento.
Gli elettrodomestici che fine hanno fatto?
Gli attivisti fanno notare la mancanza di un divieto sulla distruzione dei dispositivi elettronici invenduti, una pratica di mercato dilagante e una delle più dannose per l’ambiente in Europa.
Secondo le critiche, inoltre, i legislatori non hanno preso in considerazione la sfida posta dall’applicazione delle norme Ue ai prodotti venduti online e importati nell’UE dall’estero, a partire da rivenditori della fast-fashion come Shein e Temu, la cui mancanza di trasparenza e responsabilità è una minaccia costante anche per noi consumatori.
L’accordo sul regolamento sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili rappresenta un passo significativo verso l’obiettivo del Green Deal di rendere i prodotti sostenibili la norma – dice Jean Pierre Schweitzer, Policy Manager dell’Economia Circolare all’EEB. I requisiti futuri in questo quadro devono ora garantire che prodotti come i tessili, i mobili e gli intermediari come l’acciaio diventino più circolari, durevoli e con una minore intensità di carbonio. Tuttavia, è illogico che pratiche dannose come la distruzione dei beni invenduti siano ancora consentite e che i prodotti importati venduti online possano facilmente ignorare le regole.
Ma in generale, il Regolamento (Regolamentazione sull’Ecodesign per Prodotti Sostenibili (ESPR) si applicherà a quasi tutti i prodotti sul mercato interno dell’Unione europea, ad eccezione di alimenti, mangimi, medicinali e organismi viventi, e introdurrà i requisiti minimi come efficienza, durabilità e riciclabilità, dando priorità a una serie di gruppi di prodotti che includono: ferro, acciaio, alluminio, prodotti tessili (in particolare indumenti e calzature), mobili, pneumatici, detergenti, vernici, lubrificanti e prodotti chimici.
Il “passaporto digitale” contro greenwashing e obsolescenza programmata
Il Regolamento prevede anche i cosiddetti “passaporti dei prodotti”, contenenti informazioni aggiornate che consentiranno ai consumatori di fare scelte di acquisto informate e che in pratica ci dirà quali prodotti sono progettati per durare di più, i più facili da riparare e riciclare, e come consumare meno energia, riducendo al contempo l’uso di sostanze dannose.
Nello specifico, il Digital product passport (Dpp), altro non sarà che uno strumento con quale i vari marchi sono chiamati a raccogliere e a condividere i dati del ciclo di vita di un prodotto, mettendone in evidenza le caratteristiche di sostenibilità e riciclabilità e il suo processo di produzione e la sua provenienza.
Un vero e proprio mezzo che consente di smascherare, perché no, i casi di greenwashing a partire, per esempio, dalle informazioni riguardanti le materie utilizzate (o non utilizzate) per la creazione di un determinato prodotto e la sua origine. Così come verrà evidenziata anche l’impronta ecologica, ossia l’impatto ambientale del prodotto, oltre alle informazioni su riparazioni, garanzie e istruzioni per lo smontaggio, il riciclaggio e altri processi.
Il Regolamento dovrà essere adottato formalmente dal Parlamento e dal Consiglio degli Stati membri nei prossimi mesi ed entrare in vigore entro la fine del 2024.
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Fonte: Commissione UE
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