Eco is Smart, la linea Harmont&Blaine che combina moda e sostenibilità

Negli ultimi anni il settore della moda sta mettendo in discussione pratiche e procedure del processo produttivo, analizzandole da un punto di vista etico

Storicamente la moda ha avuto la capacità di influenzare il gusto e il pensiero di intere generazioni. Il suo impatto non si limita infatti a definire le tendenze dal punto estetico, ma interessa gli ambiti più svariati, da quelli intellettuali e ideologici ai movimenti artistici e letterari. In poche parole, la moda è cultura.

In accordo con tali responsabilità, negli ultimi anni il settore della moda sta mettendo in discussione le pratiche e le procedure legate al processo produttivo, analizzandole da un punto di vista etico. Molti brand all’interno della fashion industry hanno aderito a questo movimento di rivoluzione per rendere migliore e sostenibile l’intero settore. Tra questi, troviamo anche Harmont&Blaine, un brand italiano fortemente impegnato a ricercare il perfetto equilibrio tra stile e sostenibilità.

Dal 2012, anno in cui l’azienda ottiene la certificazione ISO 14001 per il sistema di gestione ambientale, l’evoluzione di pensiero e prodotto del marchio si è orientata verso soluzioni e innovazioni responsabili, volte a contenere i consumi e l’impatto energetico attraverso un preciso codice di condotta condiviso con tutti i collaboratori interni ed esterni all’azienda. 

Da questa volontà e questo sentire è nata la linea ECO IS SMART, realizzata a partire da materie prime biologiche o riciclate, con grandissima attenzione all’ambiente.

Ne è un esempio il pantalone chino in Seaqual, prodotto partendo dall’utilizzo di plastica riciclata in abbinamento a cotone 100% biologico.

Ma facciamo ordine e partiamo dal principio, analizzando alcuni dati relativi alla produzione di indumenti.

L’impatto ambientale della moda non sostenibile

L’industria dell’abbigliamento e delle scarpe produce una quantità annuale di sostanze inquinanti notevole: le emissioni di gas che causano l’effetto serra corrispondono a 1,2 miliardi di tonnellate l’anno. Aggiungendo all’analisi anche il trasporto e la commercializzazione, si arriva ad un totale di 3,3 miliardi di tonnellate di gas inquinanti, equivalenti all’ammontare annuo di anidride carbonica rilasciata dall’intero continente europeo. 

L’entità dell’impatto ambientale dell’industria della moda è dovuta ad una richiesta sempre crescente e non sostenibile da parte dei consumatori. Aziende leader nel settore della moda, tramite tecniche di marketing e influencer, hanno incentivato l’acquisto degli “abiti usa e getta”, capi di abbigliamento che generalmente vengono utilizzati per una sola stagione e poi buttati. Questo fenomeno ha causato un aumento preoccupante in termini di consumi: basti pensare che alcuni studi che hanno messo a confronto l’ammontare totale di capi d’abbigliamento venduti per il 2000, con il numero di quelli venduti nel 2015, hanno rilevato un incremento pari al 60%.

La moda ecosostenibile

La moda ecosostenibile è un movimento che nasce in risposta all’industria “classica” dell’abbigliamento. I suoi principi cardine sono:

  • l’utilizzo di materie prime biologiche;
  • il contenimento e la riduzione dell’impatto ambientale legato alla produzione e alla commercializzazione;
  • la protezione dallo sfruttamento dei lavoratori in Paesi emergenti, attraverso pagamenti e condizioni lavorative uguali per tutti.

Da parte dei brand che adottano i principi di moda ecosostenibile, c’è anche una campagna di rieducazione dei consumatori. Il concetto che si prova a trasmettere è “comprare meno ma comprare meglio”: un invito ad abbandonare i cosiddetti abiti usa e getta, che molto spesso sono caratterizzati da una scarsa qualità dei tessuti e da materiali non riciclabili. Rinnovare i capi del guardaroba ad ogni stagione rappresenta senza dubbio una scelta etica discutibile. Comprare “meno” permette invece di concentrare i propri acquisti su capi d’abbigliamento durevoli, di qualità maggiore e soprattutto con un impatto ambientale minore.

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