Quanto costano davvero i tuoi vestiti? La semplice formula per calcolarlo in base al numero di utilizzi (#costperwear)

Alcuni indumenti entrano a far parte di quelli del cuore, altri invece si comprano quasi senza pensarci. Basta questo rapido calcolo per misurare il grado di sostenibilità del proprio armadio e capire se quell'acquisto era un affare o un semplice impulso.

Il tema della sostenibilità connesso all’industria dell’abbigliamento è un argomento molto discusso e sentito, a seconda delle sensibilità personale ma è indubbio che si acquista molto più di quanto sia necessario. È possibile fare una calcolo rapido e effettivo di quanto vale il rispettivo guardaroba?

Una formula semplice

Da qualche tempo hanno grande popolarità su Instagram hashtag come #100wears e #costperwear. Ma di cosa si parla? Tempo fa la giornalista e autrice Elizabeth Cline, da sempre attiva nel denunciare le pratiche bieche del fast-fashion, lanciò il libro The Conscoius closet per cercare di puntare l’attenzione sui comportamenti di acquisto.

E proprio come si fa nel marketing, ma qui con uno scopo diverso, ha diffuso una formula matematica per capire il costo di un indumento in rapporto alle volte in cui viene utilizzato.

Basta dividere il costo iniziale dell’articolo per la stima del numero di volte che si indosserà un determinato capo.

Cosa conviene acquistare?

Spendere meno vuol dire davvero spendere meno? Andiamo con un esempio: se due anni fa si è acquistato un paio di pantaloni a 100€ e nel corso del tempo di sono indossati per 200 volte vuol dire che il costo effettivo è di 0,50 centesimi. Se invece l’acquisto è stato di 40€ e l’indumento è stato usato per 5 volte il costo effettivo è stato di 8€ nei due anni ipotizzati.

Una provocazione, ma anche uno spunto di riflessione

Compatibilmente con le rispettive possibilità economiche, si acquistano spesso cose “carine” perché costano talmente poco che è quasi uno spreco lasciarla in negozio. E una delle battute che più spesso si fa è “costa talmente poco che non vale nemmeno la pena lavarlo” quell’indumento.

Dovremmo, sempre di più, prendere l’abitudine di fare acquisti ragionati, ribaltando il pensiero in un “se costa così poco non vale la pena comprarlo”. Cercare di rimanere coerenti davanti a un’offerta così a buon mercato e così capillarmente diffusa tra l’online e i negozi è sicuramente non facilissimo ma nemmeno impossibile.

Dietro a quei capi ci sono lavoratori sfruttati, sottopagati vessati; terreni e fiumi distrutti dagli sversamenti chimici; un’emissione di C02 impressionante per far arrivare in poco tempo una maglietta o un pantaloncino da un capo all’altro del mondo.

Da un lato c’è una richiesta di diritti per un settore sfruttato perché la loro negazione contribuisce a mantenere viva una sovrapproduzione di abbigliamento di scarsa qualità. Dall’altro forse occorre recuperare, e diffondere, una modalità di acquisto più cosciente, meno di impulso.

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Fonti: European Environment AgencyElizabeth Cline

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