Con la pandemia di coronavirus, i negozi dei vestiti usati stanno vivendo una profonda crisi a discapito dell'ambiente
La moda inquina ed è seconda solo al petrolio a livello di impatto ambientale. Con la pandemia di coronavirus, la situazione si ancora più aggravata perché, i negozi dei vestiti usati che potrebbero rappresentare una boccata d’ossigeno per la moda tossica, stanno vivendo una profonda crisi.
Il commercio multimiliardario di indumenti di seconda mano impedisce il crescente numero di rifiuti della moda ‘usa e getta’ nell’industria globale. I negozi dell’usato salvano gli indumenti dalla discarica, ma adesso stanno affrontando una grossa crisi.
Da Londra a Los Angeles, molti negozi dell’usato e banconi in strada hanno più abiti di quelli che riescono a vendere. E questo è dovuto principalmente alla pandemia. Fino a un terzo dei vestiti donati negli Stati Uniti, il più grande esportatore mondiale di indumenti usati, finisce per essere venduto nei mercati del mondo in via di sviluppo. Ma attualmente, questo commercio è fermo perché spostare gli indumenti costa di più del guadagno.
Così ci si ritrova davanti a montagne di vestiti che non assolvono più il loro compito di sostenibilità. Dall’inizio della pandemia, commercianti ed esportatori di abiti usati hanno dovuto tagliare i prezzi pur di vendere le loro scorte, dal momento che le misure del lockdown stavano limitando i movimenti e rallentando tutta l’attività commerciale nei mercati finali all’estero. Questa situazione adesso non è più sostenibile.
“Stiamo arrivando al punto in cui i nostri magazzini sono completamente pieni”, spiega Antonio de Carvalho a capo di un’azienda di riciclaggio di tessuti a Stourbridge, in Inghilterra.
Solitamente, De Carvalho paga per raccogliere indumenti usati che poi vengono rivenduti. Il divieto di importazione è stato revocato ad agosto, prima di allora i vestiti non venivano considerati sicuri, anche se è stato più volte ribadito che il virus non poteva sopravvivere in un viaggio dall’Africa all’Europa. Il punto è che oltre a perdere una quantità di denaro enorme, il settore è in profonda crisi e ciò si ripercuote soprattutto sull’ambiente.
“Prima che arrivasse il coronavirus, riuscivo a vendere almeno 50 paia di pantaloni al giorno”, spiega il commerciante Nicholas Mutisya.”Ma ora con il coronavirus, anche venderne uno al giorno è diventato difficile”.
Il commercio su larga scala di abbigliamento di seconda mano dall’Europa e dagli Stati Uniti ai mercati emergenti ha avuto un grande successo negli anni ’90. L’industria della moda è il secondo maggior consumatore di acqua ed è responsabile fino al 10% delle emissioni globali di carbonio, più di tutti i voli internazionali e del trasporto marittimo messi insieme, secondo il programma ambientale delle Nazioni Unite a marzo 2019. Nonostante ciò, secondo le stime circa 300mila tonnellate di indumenti all’anno finiscono in discarica. Un problema sempre più globale.
Fonte: Reuters
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