Collegando la batteria di un'automobile alla bocca e all'ano, gli animali sono storditi attraverso scariche elettriche e poi, ancora capaci di sentire dolore, vengono scuoiati vivi. E' questo l'orribile metodo con cui gli allevatori cinesi ottengono la pelliccia dei cani-procione. Lo scopo? E' quello di mantenere il pelo più intatto possibile e massimizzare così il profitto sul mercato della pelliccia
Collegando la batteria di un’automobile alla bocca e all’ano, gli animali sono storditi attraverso scariche elettriche e poi, ancora capaci di sentire dolore, vengono scuoiati vivi. È questo l’orribile metodo con cui gli allevatori cinesi ottengono la pelliccia dei cani-procione. Lo scopo? È quello di mantenere il pelo più intatto possibile e massimizzare così il profitto sul mercato della pelliccia.
Le durissime immagini che raccontano a quali orribili sofferenze sono sottoposti nella regione dello Shandong i cani-procione allevati (insieme alle volpi e ad animali di altre specie) per la loro pelliccia, destinata poi al mercato internazionale dell’abbigliamento, sono di Animal Equality, che ha da poco reso pubblica la sua nuova investigazione.
Gabbie piccolissime poco più grandi dei loro stessi corpi, piene di cumuli di feci, assenza di cure veterinarie, cani-procione morti in gabbia dati in pasto agli altri, esemplari con malattie fisiche e disturbi mentali, che non raramente sfociano nel cannibalismo a causa soprattutto dello stress e del sovraffollamento.
Inoltre, gli animali che hanno sviluppato infezioni gravi della pelle, quindi inutilizzabili in quanto la loro pelliccia non è più adatta per il mercato dell’abbigliamento, sono invece venduti all’industria della carne locale e nazionale. In Cina non esistono leggi a tutela di questi animali, rendendo così più semplice allevarli abbattendo i costi e quindi i prezzi per le aziende che rivendono la pelliccia in Italia e altri Paesi.
E dove finisce la pelliccia di questi animali? Sul mercato internazionale. E quindi nei nostri armadi. Sono molte le aziende che commercializzano anche in Italia capi di abbigliamento aventi inseriti realizzati con la pelliccia di cani-procione provenienti dalla Cina. Leggendo le etichette è però difficile risalire a questa specie appartenente alla famiglia dei canidi: nella maggior parte dei casi viene infatti identificata come “asiatic raccoon”, “murmasky” o semplicemente “raccoon”.
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Per questo l’associazione ha deciso di lanciare in Italia una campagna che invita le persone a sottoscrivere l’impegno a non indossare più capi di abbigliamento che contengano parti in pelliccia. Lo scopo è esortare stilisti e aziende che producono abbigliamento a prendere una posizione chiara sulla questione e a considerare di cessare in toto la vendita di capi in pelliccia.
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Roberta Ragni
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