Profitti massimizzati facendo ricorso a fornitori che utilizzavano lavoro nero e clandestini, così accessori super costosi venivano prodotti in condizioni disumane da personale cinese. L’azienda di lusso si trova ora commissariata: per un anno i rapporti con i fornitori saranno tenuti dai consulenti del Tribunale
Il copione è più o meno quello: condizioni di vero e proprio sfruttamento dei lavoratori in capannoni della provincia di Milano in cui si producono le borse di Alviero Martini 1A Classe. Borse e accessori, quelli con la classica carta geografica impressa, realizzati spendendo pochissimo e poi messi sul mercato a 350 euro.
Per questo motivo la sezione autonoma misure di prevenzione del Tribunale di Milano ha disposto l’amministrazione giudiziaria, in un’inchiesta dei carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro, per l’azienda dell’alta moda “ritenuta incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo nell’ambito del ciclo produttivo”. Sarebbero stati massimizzati i profitti usando “opifici cinesi” con “ricorso a manovalanza ‘in nero e clandestina”.
Società e dirigenti non sono indagati, ma per un anno i rapporti coi fornitori saranno tenuti dai consulenti del Tribunale.
Cosa hanno trovato i Carabinieri
Opifici dormitori gestiti da cittadini cinesi, in cui erano costretti a vivere i loro connazionali spesso irregolari in Italia, che lavoravano senza contratto né tutele e con paghe da fame. Si tratterebbe dell’ultimo anello di una catena di appalti e subappalti irregolari. Una filiera produttiva su cui l’azienda non avrebbe vigilato e che mirava unicamente a massimizzare i profitti abbattendo i costi: 20 euro per una borsa che veniva messa in commercio a 35o.
Il Tribunale di Milano ha commissariato la casa di moda Alviero Martini, produttrice di borse e accessori di lusso, per essersi servita di fornitori che sfruttano lavoratori cinesi. L'azienda non è indagata, ma per i magistrati non avrebbe impedito il caporalato pic.twitter.com/TmwRWDiTxg
— Tg3 (@Tg3web) January 17, 2024
Sono stati effettuati “accertamenti sulle modalità di produzione, confezionamento e commercializzazione dei capi di alta moda procedendo al controllo dei soggetti affidatari degli appalti nonché dei sub affidatari non autorizzati costituiti esclusivamente da opifici gestiti da cittadini cinesi nelle province di Milano, Monza e Brianza e Pavia“. In particolare, sono stati controllati otto opifici “tutti risultati irregolari nei quali sono stati identificati 197 lavoratori di cui 37 occupati in nero e clandestini“.
Inoltre, i lavoratori percepivano paghe al di sotto della soglia di povertà, ossia poco più di 6 euro all’ora, e stavano in luoghi con “micro camere, completamente abusive”, con “chiazze di muffa” e con “impianti elettrici di fortuna”.
La replica della società
Tutti i rapporti di fornitura sono disciplinati da un preciso codice etico a tutela del lavoro e dei lavoratori al cui rispetto ogni fornitore è vincolato. Siamo a disposizione delle autorità, non essendo peraltro indagati né la società né i propri rappresentanti, al fine di garantire e implementare da parte di tutti i suoi fornitori, il rispetto delle norme in materia di tutela del lavoro.
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