Elogio alle sartorie italiane ma anche alla normalità, fatta di abiti di pregio ma già indossati, proprio come nella vita di tutti i giorni
Inizia la kermesse più popolare della tv italiana ovvero il Festival della canzone di Sanremo, edizione n72, la terza con Amadeus al comando assieme al fido amico Fiorello. Oltre alle canzoni, agli orari impossibili, ai grandi ospiti e alle donne che si alterneranno sul palco dell’Ariston, uno dei grandi temi di discussione e curiosità è la moda.
“Chi veste chi” è una delle domande di questo periodo con sfoggio, sui social, di foto e tag per scoprire quale stilista ha curato il look di quale star. Ma quest’anno una delle novità è la moda circolare. Protagoniste di questa piccola ma importante rivoluzione sono Roberta Capua, Miss Italia 1986 e volto amato del piccolo schermo, e Drusilla Foer, il personaggio interpretato con garbo e maestria da Gianluca Gori.
La Capua è in onda ogni sera dopo il Tg 1, in questo periodo sanremese, dal Glass Studio davanti al Teatro Ariston assieme a Ciro Priello dei Jackal e Paola di Benedetto. «Ho scelto di non affidarmi a nessuno e di utilizzare vestiti che avevo già nel mio armadio dando una seconda vita ad alcuni outfit» ha dichiarato la conduttrice napoletana durante una diretta Instagram. Un approccio da elogiare, di grande attenzione alla questione ambientale ma anche a un aspetto della quotidianità lontana dai riflettori perché, per sua ammissione: «chi sono quelle (donne n.d.r.) che usano un abito una volta sola?».
Divina e simpaticamente snob, anche Drusilla ha scelto di indossare abiti dal suo personale guardaroba con due “new entry”, realizzate dalla sartoria fiorentina di fiducia. Sulle frequenze di Radio 101, dove ha una sua rubrica, aveva spiegato la sua scelta: «L’economia italiana deve ripartire dal basso, dalle sartorie, dagli atelier piccoli. (…) È giusto che la gente veda che le persone si rimettono le cose».
Fino ad ora l’eroina del riciclo fashion è stata Kate Middleton che da anni indossa più e più volte diversi abiti del suo guardaroba, dai capi spalla alle calzature. Oggi, portare in Italia un messaggio di questo tipo sul palco di Sanremo è molto importante perché si riesce a sensibilizzare una platea molto ampia sui temi della moda etica, del consumo oculato. Se da un lato ci sono sempre più stilisti che abbandonano le produzioni di capi in pelliccia o in alpaca in favore di altri materiali, dall’altro c’è l’industria della cosiddetta fast fashion che contribuisce a pompare l’acquisto d’impulso e il ricambio eccessivamente sovente del guardaroba incoraggiati da un prezzo davvero accessibile.
Tutto questo crea danni di vario tipo a iniziare dallo sfruttamento di mano d’opera, in particolare femminile, a bassissimo salario. Per non parlare poi dei danni ambientali: il report McKinsey Fashion on climate, stilato nel 2020 con Global Fashion Agenda (Gfa) ha dimostrato come “solo” nel 2018 l’industria della moda è stata responsabile del 4% delle emissioni globali. Per non parlare dello sfruttamento di terreni, dell’uso di pesticidi, del popolamento delle discariche con gli abiti dismessi e delle emissioni nocive che, ad esempio, il Climate Action delle Nazioni Unite vuole portare a zero nel 2050 al fine di abbassare la temperatura climatica di 1,5 gradi.
Insomma, mentre aspettiamo di scegliere la canzone vincitrice di questo Sanremo 72, per noi il podio è già di Roberta Capua e Drusilla Foer.
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Fonti: Fashion on climate McKinsey; Nazioni Unite per il cambiamento climatico; Davide Maggio
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