Cosa accadrebbe se tutte le industrie italiane della pasta dicessero no al glifosato? Non solo i prodotti che mettiamo in tavola sarebbero più salubri e l'ambiente più al sicuro, ma si creerebbero anche ben 20mila posti di lavoro.
Cosa accadrebbe se tutte le industrie italiane della pasta dicessero no al glifosato? Non solo i prodotti che mettiamo in tavola sarebbero più salubri e l’ambiente più al sicuro, ma si creerebbero anche ben 20mila posti di lavoro.
È quanto emerge da una analisi della Coldiretti sugli effetti di una eventuale sostituzione delle importazioni dal Canada con raccolti di grano Made in Italy, in occasione dei tre giorni di #stocoicontadini, in Puglia a Bari.
Avete capito bene: oltre 20mila posti di lavoro potrebbero arrivare nelle campagne italiane se anche le altre industrie italiane produttrici di pasta seguissero l’esempio di Barilla, che di recente ha scelto di non firmare nessun contratto per l’importazione del grano dal Canada. Qui, come sappiamo, viene trattato con l’erbicida glifosato in preraccolta, secondo modalità vietate invece nel nostro Paese.
“Gli agricoltori per una giusta remunerazione del proprio lavoro sono pronti ad aumentare la produzione di grano duro in Italia dove è vietato l’uso del glifosato in preraccolta, a differenza di quanto avviene in Canada ed in altri Paesi anche europei”, ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che l’Italia ha le potenzialità per rispondere alla nuova domanda del mercato in termini qualitativi e quantitativi.
Barilla, la più grande industria pastaia italiana, ha anche annunciato di aver investito 240 milioni in progetti che coinvolgono 5000 imprese agricole italiane che coltivano una superficie di circa 65 mila ettari, con un incremento del 40% dei volumi di grano duro italiano nei prossimi tre anni. Si tratta di un generale riposizionamento delle posizioni dell’industria pastaia e delle sue forniture di grano in una situazione in cui il Canada è stato fino ad ora il principale fornitore di grano duro dell’Italia. Un quantitativo enorme, che nel 2017 è stato pari a 720milioni di chili, a fronte di 4,3 miliardi di chili prodotti in Italia. In altre parole, un pacco di pasta su sei prodotto in Italia era ottenuto con grano canadese.
Attualmente l’Italia può contare su un milione e 350mila ettari di coltivazioni di grano duro. Con un aumento di altri 220mila ettari sarà in grado di garantire un raccolto in grado di sostituire le importazioni dal Canada con una produzione aggiuntiva di mezzo miliardo di chili di pasta con grano 100% italiano.
Una opportunità importante per sostenere – sottolinea la Coldiretti – il ritorno dei grani nazionali antichi, come il Senatore Cappelli con pasta Zara o Stagioni d’Italia di Bonifiche Ferraresi.
I marchi di pasta 100% italiani
Non a caso negli ultimi anni c’è stata una rapida proliferazione di marchi e linee che garantiscono l’origine nazionale al 100% del grano impiegato, da Ghigi a De Sortis, da Jolly Sgambaro a Granoro, da Armando a Felicetti, da Alce Nero a Rummo, da Girolomoni a Granoro, da FdAI – Firmato dagli agricoltori italiani fino a “Voiello”, che fa capo proprio al Gruppo Barilla, senza dimenticare molte linee della grande distribuzione, come Auchan, Simply, Esselunga, Ecor o Vivi Verde Coop. Inoltre la stessa Divella in questi anni ha avviato un percorso di filiera in Puglia con grano 100% italiano frutto della ricerca SIS, società leader nella ricerca dei cereali a Paglia nonché la più importate società sementiera a capitale 100% italiano.
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Roberta Ragni