Nel giorno in cui si festeggiano i lavoratori, proviamo a fare il punto sulla situazione in Italia, dove gli stipendi sono sempre più bassi e lo sfruttamento ha varcato la soglia dei campi ed è approdato anche sulle scrivanie, con professioni sempre più sminuite e sottopagate
Dai campi alle scrivanie, qual è il confine tra sfruttamento e caporalato? Non solo nel mondo agricolo e tra i migranti, i lavoratori italiani sono sempre più sottopagati, anche tra le professioni un tempo considerate più prestigiose e remunerative. All’immagine di chi raccoglie pomodori con paghe da fame aggiungiamoci, infatti, quella di professionisti sottopagati al limite della sussistenza. Alla vigilia della Festa dei lavoratori 2024 proviamo a fare il punto sulla situazione e se c’è rimasto davvero qualcosa da festeggiare.
Call center e pizzerie, babysitteraggio e campi agricoli, ma anche praticantati negli studi legali e di architetti, esperienze professionali mai retribuite nelle testate giornalistiche (solo per poter accumulare articoli firmati e ricevere un tesserino) o notturni in farmacia pagati come reperibilità: dalla nostra domanda/provocazione “Quanto vi hanno pagato la volta che vi siete sentiti più sfruttati?”, è emerso un quadro – italiano ma non solo – imbarazzante.
Un quadro che ha le sue origini a decenni fa, agli ‘80/’90, Prima Repubblica, quando la classe dirigente (e politica) fece passare silente e impunito un concetto del dopoguerra: per imparare un “mestiere” e guadagnare un gruzzoletto siate disposti a tutto, basta che scorciarsi le maniche e garantire la presenza per ore e ore. Presenza muta e gratuita.
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Una prassi che si è incancrenita nel tempo, diventando abitudine e – colmo dei colmi – privilegio: in fondo, che male c’è se non ti pago? Ti sto dando un’opportunità o no?
E così, da quella nostra domanda, si è aperto il vaso di Pandora:
Anni 80. Avvocato penalista. Busta paga in regola ma mi pagava in contanti 1/3 di quello previsto. Furbacchione. E si, e mi faceva lavorare a turno anche il sabato pomeriggio, dice una utente.
200 euro al mese per un lavoro part time di 4 ore al giorno su turni compresi sabato e domenica. Avevo fatto il calcolo ed 2 euro l’ora. Per lavorare in una libreria di una catena molto nota, dice un’altra.
Ogni anno quando inizio la stagione in hotel, tre lingue parlate, 30 d’esperienza e ogni anno il solito livello, nessun scatto d’anzianità, nessuna prospettiva di una pensione, dice ancora un altro.
Quanto vi hanno pagato la volta che vi siete sentiti più sfruttati?
Posted by GreenMe on Monday, April 29, 2024
Sfruttamento del lavoro, dunque, non è solo caporalato? Ebbene no: lo sfruttamento e il caporalato non sono circoscrivibili solo ad alcune specifici settori produttivi, come quello agricolo, edile o del facchinaggio. Lo sfruttamento c’è a 360 gradi e non è serve una lente di ingrandimento per rendersene conto.
Ma andiamo con ordine.
Cosa si intende per sfruttamento lavorativo?
Leggendo sul sito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, secondo la legislazione italiana si ha sfruttamento lavorativo quando nello svolgimento dell’attività lavorativa ricorrono alcune caratteristiche, come:
- il pagamento di salari inferiori agli standard nazionali e sproporzionati rispetto alle ore lavorate
- ripetuti orari di lavoro prolungati o la negazione del riposo settimanale, delle ferie annuali retribuite e/o delle assenze per malattia retribuite
- la violazione sistematica della sicurezza e della salute sul posto di lavoro
- l’uso di metodi degradanti per la sorveglianza del lavoratore
Tra questi, due nodi sono ahinoi in questi ultimi anni più che evidenti:
- il primo punto, il “pagamento di salari inferiori”, possiamo dire sia costantemente atteso, non fosse altro che in Italia il salario minimo unitario nazionale non è stato istituito, a differenza degli altri Stati dell’Unione europea: nelle scorse settimane, infatti, il Governo ha deciso di non istituire una soglia di salario minimo nazionale, ma di affidare alla contrattazione collettiva la certezza di una paga dignitosa per i lavoratori: ogni settore deve cioè aggiornare i propri CCNL e prevedere una paga minima oraria sotto cui non è possibile scendere
- il terzo punto, la sicurezza sul lavoro, è – come vediamo dalle cronache di ogni giorno – il male dei nostri tempi (nel 2022, secondo l’Inail, oltre 1000 persone sono morte sul posto di lavoro)
I numeri dello sfruttamento lavorativo in Italia
Secondo ai dati Istat di gennaio 2023, la disoccupazione giovanile in Italia sfiora il 23% (in salita di 0,7 punti rispetto al 2022). Inoltre, non c’è più solo chi fa fatica a trovare un’occupazione dopo un diploma, una laurea, un master o l’appartenenza a un ordine professionale, ma c’è anche chi dopo anni di studio si trova costretto a lavorare 12 ore al giorno per portare a casa mille euro al mese o poco più.
Quel che in generale emerge è che oggi alcuni diritti in Italia, come quello al limite della giornata lavorativa di otto ore, sono garantiti, almeno sulla carta, ma la strada verso un lavoro dignitoso per tutti è ancora lunga.
Secondo il Rapporto Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) 2023, che ha indagato sulle condizioni salariali e sul mercato del lavoro nel nostro Paese, oggi 1 lavoratore su 3 fa straordinari non retribuiti.
In più, il dato più allarmante è quello che riguarda la stagnazione salariale: tra il 1991 e il 2022 gli stipendi dei lavoratori italiani non hanno subito variazioni significative, con una crescita minima dell’1%. Parallelamente, negli altri paesi OCSE, i salari sono aumentati in media del 32,5%.
Oltre al congelamento degli stipendi, il mercato del lavoro nel nostro Paese affronta poi quotidianamente una vera e propria emorragia, con una costante carenza di assunzioni e l’aumento delle dimissioni avvenute negli ultimi anni.
Nel 2021 il numero di nuove assunzioni era pari a 713 mila unità. Nel 2022, questo dato è sceso a 414 mila unità, caratterizzate da una forte disparità tra uomini e donne (54% contro 46%). A tal proposito, secondo fonti Ilo, in Italia oltre il 21% delle donne in età lavorativa dichiara di non essere disponibile o di non cercare un lavoro a causa degli impegni domestici.
Infine, le dimissioni nel 2022 hanno coinvolto, invece, 3,3 milioni di persone (il 14,6% del totale degli occupati). Inoltre, la maggior parte dei lavoratori è anziana: per 1.000 lavoratori di età compresa tra i 19 e i 39 anni, ci sono ben 1.900 lavoratori adulti.
Chi sono, dunque, le vittime del caporalato? Rendiamoci conto ora: non riguarda solo gli immigrati irregolari, ma una marea di italiani che non si può nemmeno immaginare.
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