D’ora in poi in Australia i dipendenti possono rifiutarsi di rispondere e controllare la casella di posta se vengono contattati in orario extralavorativo, “a meno che tale rifiuto non sia irragionevole”. Un diritto che esiste anche in altri Paesi
Superlavoro addio? In un mondo sempre più interconnesso, anche il nostro lavoro spesso finisce con l’essere interminabile, tra e-mail e contatti vari (spesso anche su WhatsApp) che proseguono senza soluzione di continuità. Un attaccamento costante che il più delle volte, però, ci costa caro e amaro in termini di salute mentale: non staccare mai, insomma, a lungo andare comporta una buona dose di stress e nervosismo.
Come fare allora? Soltanto con la pandemia – quando contemporaneamente si è sdoganato il concetto del “lavoro da casa” e, quindi, anche del “fine lavoro mai” – pare si sia posta la questione di un vero e proprio diritto a disconnettersi dai dispositivi usati per il lavoro considerato dall’Unione europea come “diritto fondamentale”. Il diritto, cioè, dei lavoratori, fuori dagli orari d’ufficio, a spegnere i dispositivi utilizzati senza che ciò possa avere ripercussioni sulla carriera o sullo stipendio.
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Poco per volta si allunga la lista dei Paesi che hanno scelto di approvare norme che riconoscano il diritto alla disconnessione. L’ultimo è l’Australia dove il 26 agosto è entrata in vigore una legge che consente ai dipendenti di mettere da parte e-mail e chiamate di lavoro che arrivano al di fuori dell’orario lavorativo.
La nuova legge australiana si applica a tutte le aziende con più di 15 dipendenti e non impedirà ai manager di contattare i dipendenti ogni volta che lo desiderano, ma – in ogni caso – dà ai dipendenti il diritto di rifiutarsi di monitorare, leggere o rispondere ai contatti del loro datore di lavoro al di fuori dell’orario di lavoro, a meno che tale rifiuto non sia ritenuto irragionevole.
Ad esempio, un manager può inviare un’e-mail dopo l’orario di lavoro, ma il dipendente non è obbligato a rispondere a meno che non sia ritenuto “ragionevole” per lui farlo.
Dove esiste già il diritto alla disconnessione
Questo tipo di diritto ha visto gli albori in Francia, nel 2017, che rese obbligatorio per le aziende con più di 50 dipendenti stabilire parametri per la comunicazione fuori orario.
Altri Paesi che hanno adottato tali leggi sono Belgio, Italia, Lussemburgo, Spagna, Slovacchia, Argentina, Cile, Messico, Irlanda e Filippine.
Le norme sulla disconnessione in Italia
In Italia l’art. 19 della l. 81/2017 sul lavoro flessibile “disciplina l’esecuzione della prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro ed agli strumenti utilizzati dal lavoratore – individua altresì i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro“.
Ma sul preciso diritto alla disconnessione è intervenuta la 61/2021 che all’art. 2, comma 1-ter prevede che “è riconosciuto al lavoratore che svolge l’attività in modalità agile il diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche, nel rispetto degli eventuali accordi sottoscritti dalle parti e fatti salvi eventuali periodi di reperibilità concordati. L’esercizio del diritto alla disconnessione, necessario per tutelare i tempi di riposo e la salute del lavoratore, non può avere ripercussioni sul rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi”.
Infine, l’articolo 3 del Protocollo nazionale sul lavoro agile nel settore privato del 7 dicembre 2021 prevede per esempio che vadano adottate specifiche misure tecniche e/o organizzative per garantire la fascia di disconnessione e che, salvo esplicita previsione dei contratti collettivi, durante le giornate in cui la prestazione lavorativa viene svolta in modalità agile non possono essere di norma previste e autorizzate prestazioni di lavoro straordinario.
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