Raghu, il piccolo elefante ha vinto il premio Oscar come Miglior corto documentario. Per girarlo la regista Kartiki Gonsalves ha vissuto per cinque anni insieme alla famiglia “adottiva” dell’elefante mostrando come i cambiamenti climatici possano impattare sugli animali selvatici
Il documentario Raghu, il piccolo elefante ha vinto il premio Oscar come Miglior cortometraggio documentario. Racconta la storia dell’orfano Raghu cresciuto con la sua famiglia “umana” composta da Bomman e Bellie, una coppia appartenente alla comunità dei Kattunayakan, i “custodi della natura” nel Parco nazionale di Mudumalai.
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Con il titolo originale The Elephant Whisperers, vede il debutto alla regia dell’indiana Kartiki Gonsalves e ha fatto letteralmente la storia, in quanto è il primo documentario del Paese asiatico a vincere la statuetta più ambita del cinema.
Un momento da ricordare, dunque, per le produzioni dell’India, ma anche per le comunità indigene che abitano nel Parco nazionale protagonista del corto, un’area protetta di 321 chilometri quadrati nel Sud del Paese.
Il ruolo fondamentale di questi “custodi della natura”
La storia di Raghu è vera. Dopo essere stato allontanato dal suo branco perché rimasto senza mamma e ferito, viene affidato a Bomman e Bellie che hanno fatto della tutela della foresta e delle creature che la abitano una missione di vita.
Per riuscire a portare sul grande schermo la loro storia, la regista ha trascorso cinque anni seguendo la famiglia e raccontando il profondo legame che si era instaurato tra i due umani e l’animale. A fare da sfondo a tutto ciò c’è l’importanza del ruolo che rivestono questi “custodi della natura”, che rispettano la fauna selvatica della zona e se ne prendono cura.
Ed è proprio su questo che si è concentrata la regista Gonsalves quando si è recata sul palco degli Oscar per ritirare la statuetta. Ha spiegato di essere lì per parlare:
del legame sacro tra l’essere umano e il mondo naturale, del rispetto delle comunità indigene e dell’empatia verso gli altri esseri viventi con cui condividiamo lo spazio.
L’impatto dei cambiamenti climatici sugli animali selvaggi
Il documentario, inoltre, utilizza una tenera dinamica familiare per esplorare i cambiamenti climatici, la riduzione degli habitat degli animali e la nostra percezione distorta della natura selvaggia.
Il film, della durata di 42 minuti, ha una struttura calda e solare, ma opera anche all’ombra della tragedia e del dolore. Raghu è infatti l’incarnazione vivente degli effetti del cambiamento climatico. Ha perso la madre a causa di una folgorazione quando il loro branco si è spostato in un villaggio vicino.
Il conflitto uomo-animale è un problema enorme nei Ghati meridionali dell’India (una catena montuosa del Paese), dove gli elefanti in migrazione e la civiltà entrano regolarmente in contatto con effetti calamitosi, spesso disastrosi. Un rapporto governativo dello scorso anno ha rilevato che più di 550 elefanti sono morti per elettrocuzione nel Paese in un periodo di otto anni.
Raghu, il piccolo elefante fa però anche vedere ciò che c’è oltre gli effetti dannosi della mano umana. La cultura e lo stile di vita delle tribù del posto, infatti, si sono storicamente intrecciati con la natura selvaggia, dando vita ad un attento equilibrio che Bomman riassume nel film come “vivere di essa e con essa”.
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