Levante a Sanremo parla di depressione post parto e le altre mamme la insultano: quando un dolore non è socialmente accettato

Levante, a Sanremo 2023, porta un brano che parla di depressione post parto: l'artista, tuttavia, è stata sommersa dalle critiche.

Levante, a Sanremo 2023, porta un brano coraggioso, perché parla di un argomento che è, purtroppo, ancora un tabù: la depressione post parto. A dimostrare che sia un tema tabù, c’è un numero sconfinato di commenti, sul web, che giudica, offende, sminuisce la cantate e la sua storia. E ciò che rende questi commenti allarmanti, e non semplice immondizia social che sparisce al prossimo contenuto virale, è il fatto che provengano – perlopiù – da altre mamme

Se, nel caso degli insulti degli uomini, si possono scomodare – in ordine – ignoranza, mancanza di empatia e patriarcato, nel caso delle donne (mamme) che insultano un’altra donna (mamma) va fatto un discorso a parte. E qui Levante e la sua canzone non c’entrano più. Gli insulti alla cantante, insomma, mi portano a fare una riflessione più ampia, complessa, che non ha nulla a che vedere con la storia di una singola madre, ma con un dolore che non è ancora socialmente accettato (e accettabile)

Ma quando un dolore non è accettato dalla stessa vittima (che l’ha provato o potrebbe provarlo), significa che è vittima due volte e che siamo di fronte a un problema ben più radicato e stratificato. 

La depressione post parto: un dolore che la società non accetta

Mi spiego meglio: la depressione post parto è una forma di disturbo nervoso che colpisce alcune donne dopo il parto e che si manifesta, spesso, come una depressione vera e propria, accompagnata da varie forme di psicosi. A questo va aggiunto che la maternità è, prima di ogni altra cosa, un cambiamento radicale, a cui ogni donna risponde come può. Non conta quanto un figlio sia stato voluto, quanto ci si prepari a diventare madri (a tale proposito, molte hanno scritto a Levante «Sapevi a cosa andavi incontro, adesso è inutile che ti lamenti»), quanto sia totalizzante (e galvanizzante) mettere al mondo un figlio: la depressione può arrivare ed è sfiancante, immobilizzante, dolorosa. E la maternità è anche questo. Al netto di tutti i (buoni) sentimenti che una madre può provare verso il proprio figlio, resta il fatto che la maternità non ha una direzione sola

E veniamo alle donne che insultano le donne che soffrono dopo aver dato al mondo un figlio. Prima dicevo che sono vittime due volte e ora vi spiego il perché: oltre al peso di una società retrograda, maschilista e patriarcale, in cui il ruolo della madre è votato al sacrificio e alla rinuncia, portano anche quello di vivere il proprio status come un destino segnato, immutabile e, soprattutto, privilegiato. Sei una madre, non puoi essere altro che questo, non puoi fare altro che amare tuo figlio, non puoi raccontare le ombre della gravidanza, del parto e del periodo successivo al parto, altrimenti sei una madre degenere. Altrimenti vieni meno a un patto tacito, quello che vuole che una mamma rinunci a se stessa e trascuri i propri dolori perché è, appunto, innanzitutto e soprattutto una madre.

Mamme contro le mamme: una società da rieducare

È facile prendersela con le mamme che insultano Levante. La verità, però, è sotto la superficie e va ricercata in una cultura patriarcale così radicata che persino chi ne è vittima non sa liberarsene. In alcune mamme, sembra esistere una sorta di Sindrome di Stoccolma: sono vittime della società perché solo così possono essere socialmente accettate (e accettabili). E, di fatto, lottano contro le donne che si emancipano da certi costrutti sociali perché, con il loro comportamento, non rispettano i canoni imposti dalla società maschilista

Ecco, c’è un’intera società da cambiare, ma – perché si evolva – è necessario prima che ognuno di noi faccia la propria parte: dobbiamo educarci a conoscerci e ad autodeterminarci. Non dobbiamo permettere che una madre respinga, sottovaluti, non curi un malessere solo perché la società potrebbe non comprenderlo. Non dobbiamo portare avanti la narrazione secondo cui la maternità sia un momento di felicità assoluta e incondizionata, perché è irresponsabile e pericoloso. Mettiamo in conto che possa essere anche un momento faticoso, destabilizzante, brutto, senza cercare aggettivi che siano morbidi e accoglienti. Facciamolo per le madri che soffrono e non vorrebbero soffrire. 

Accogliamo il dolore degli altri, senza giudicarlo, senza sminuirlo. Esercitiamo l’empatia.  Ma, soprattutto, non combattiamo le mamme che combattono le mamme, ma la cultura che l’ha permesso e lo permette ancora.

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