Un nuovo report dimostra come le innovazioni tecnologiche non sono sufficienti a frenare i danni che la fast fashion infligge all'ambiente
Sono ancora troppi i danni ambientali provocati dall’industria della moda, nonostante le azioni intraprese per migliorare la sostenibilità nella progettazione e nella produzione e aumentando la quantità di indumenti riutilizzati e riciclati.
Lo rivela WRAP, un’organizzazione no-profit attiva in tutto il mondo per contrastare la crisi climatica e tutelare l’ambiente: i ritmi forsennati della produzione di nuovi capi d’abbigliamento vanificano i miglioramenti fatti in nome dell’ambiente.
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Il report
Nel rapporto annuale sui progressi fatti nel settore tessile, pubblicato nei giorni scorsi, WRAP fa il punto sui passi compiuti dai diversi brand di moda in materia di sostenibilità ambientale, riduzione delle emissioni inquinanti e dello spreco di risorse.
I dati raccolti sono incoraggianti: molti brand hanno volontariamente ridotto l’impatto del carbonio dei prodotti tessili negli ultimi quattro anni (2019 e il 2022).
Da ASOS ad ASDA, da Primark a Dunelm, tutti si sono impegnati a ridurre drasticamente l’impatto ambientale dei loro prodotti – si legge nel report. – Inoltre, diminuisce la quantità di prodotti realizzati con materiali vergini, e sono stati apportati miglioramenti nella durabilità e nella progettazione per il riciclaggio.
Quasi tre quarti del cotone (71%) utilizzato per la produzione di capi di abbigliamento proviene ora da fonti migliorate, principalmente attraverso la Better Cotton Initiative (BCI) e il programma REEL Cotton di Cotton Connect.
Ma non solo: i dati raccolti rivelano anche una riduzione del consumo idrico – 4% in meno in quattro anni per tonnellata di merce prodotta.
Purtroppo però, il considerevole aumento dei tessili prodotti e venduti a partire dal 2019 (+13%) ha vanificato tutti gli sforzi per un’industria della moda più sostenibile.
Tassi di produzione più elevati hanno comportato un aumento del consumo idrico dell’8%, per un totale di 3,1 miliardi di m³: si tratta di una quantità sufficiente a fornire acqua potabile a più della metà delle persone nel mondo (53%) ogni giorno per un anno.
Allo stesso modo, l’aumento della produzione ha anche ridotto l’effettiva produzione del carbonio di appena il 2% – troppo poco per sperare di riuscire a contenere l’aumento delle temperature globali entro +1,5°C – come previsto dagli Accordi di Parigi del 1015.
I tessili e la moda sono responsabili fino al 10% delle emissioni globali di carbonio – spiega Catherine David, direttrice dei programmi di cambiamento comportamentale e aziendale presso WRAP. – I dati dimostrano che è possibile cambiare questa situazione.
Purtroppo però, non appena si verificano miglioramenti positivi, questi vengono annullati dall’aumento della produzione. Se speriamo di avvicinarci al raggiungimento degli obiettivi fondamentali dell’Accordo di Parigi, dobbiamo fare sul serio nel settore tessile e tutti hanno un ruolo da svolgere.
Per ulteriori approfondimenti, è possibile consultare il report completo QUI.
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Fonte: WRAP
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