Non vogliono avere relazioni sociali e preferiscono di gran lunga chiudersi nella propria stanza. Gli “Hikikomori” non si vedono, perché a loro piace stare in disparte. E sono molto di più di quanto proviamo a immaginare. Ecco i risultati del grande primo studio a livello nazionale
Significa letteralmente “stare in disparte”, ma “Hikikomori” rischia di essere molto di più di una semplice “abitudine”. Smettere di uscire di casa e di frequentare scuola e amici, per chiudersi in stanza con computer e cellulare non può essere una cosa sulla quale sorvolare, anche e soprattutto perché riguarda i nostri giovani.
Eppure questo fenomeno partito dal Giappone ed acuitosi enormemente con il lockdown del 2020, dilaga nel silenzio – è il caso di dirlo – generale.
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In Italia sono circa 54mila gli adolescenti che si identificano in una “situazione di ritiro sociale”. A dirlo è il primo studio nazionale condotto dall’Istituto fisiologia clinica del Cnr di Pisa e promosso dalla onlus Gruppo Abele in collaborazione con l’Università della Strada, per fornire numeri precisi sull’isolamento volontario negli adolescenti.
La ricerca ha coinvolto un campione di oltre 12mila studenti e studentesse, rappresentativo della popolazione scolastica italiana fra i 15 e i 19 anni.
Le proiezioni ci parlano di circa l’1,7% degli studenti totali (44.000 ragazzi e ragazze a livello nazionale) che si possono definire Hikikomori, mentre il 2,6% (67.000 giovani) sarebbero a rischio grave di diventarlo.
Lo studio
La ricerca ha preso le mosse dallo studio ESPAD Italia (European School Survey Project on Alcohol and Other Drugs, condotto annualmente dal Cnr-Ifc rispetto al consumo di sostanze psicoattive), coinvolgendo un campione di oltre 12mila studenti tra i 15 e i 19 anni.
I ragazzi sono stati intervistati attraverso un apposito set di domande volte a intercettare sia i comportamenti che le loro cause percepite:
Il 2,1% del campione attribuisce a sé stesso la definizione di Hikikomori: proiettando il dato sulla popolazione studentesca 15-19enne a livello nazionale, si può quindi stimare che circa 54mila studenti italiani di scuola superiore si identifichino in una situazione di ritiro sociale, afferma Sabrina Molinaro, ricercatrice del CnrIfc.
Questo dato appare confermato dalle risposte sui periodi di ritiro effettivo: il 18,7% degli intervistati afferma, infatti, di non essere uscito per un tempo significativo, escludendo i periodi di lockdown, e di questi l’8,2% non è uscito per un tempo da 1 a 6 mesi e oltre: in quest’area si collocano sia le situazioni piu’ gravi (oltre 6 mesi di chiusura), sia quelle a maggiore rischio (da 3 a 6 mesi). Le proiezioni ci parlano di circa l’1,7% degli studenti totali (44mila ragazzi a livello nazionale) che si possono definire Hikikomori, mentre il 2,6% (67.000 giovani) sarebbero a rischio grave di diventarlo.
L’età che si rivela maggiormente a rischio per la scelta di ritiro è quella che va dai 15 ai 17 anni, con un’incubazione delle cause del comportamento di auto-reclusione già nel periodo della scuola media.
Le differenze di genere si rivelano nella percezione del ritiro – i maschi sono la maggioranza fra i ritirati effettivi, ma le femmine si attribuiscono più facilmente la definizione di Hikikomori – così come nell’utilizzo del tempo, con le ragazze più propense al sonno, alla lettura e alla tv, mentre i ragazzi al gaming online.
Ma quali sono le cause che portano all’isolamento? Senza dubbio, secondo la ricerca, ha un peso notevole il senso di inadeguatezza rispetto ai compagni:
L’aver subito episodi di bullismo, contrariamente a quanto si possa ritenere, non è fra le ragioni più frequenti della scelta. Mentre si evince una fatica diffusa nei rapporti coi coetanei, caratterizzati da frustrazione e autosvalutazione, aggiunge Sonia Cerrai (Cnr-Ifc).
Infine, due dati sui quali dovremmo tutti riflettere:
- più di un intervistato su 4, fra coloro che si definiscono ritirati, ha dichiarato che i genitori avrebbero accettato la cosa apparentemente senza porsi domande
- e gli insegnanti: il 27,8% di coloro che si definiscono ritirati afferma che i propri insegnanti non se ne sono particolarmente preoccupati, il 22,9% riferisce che pensavano che lo studente fosse malato, mentre il 13% riporta che gli insegnanti si sono preoccupati e hanno contattato i genitori.
QUI trovate il report completo.
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Fonte: Cnr-Ifc
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