Nel settembre del 2022 Mahsa Amini, una giovane donna della minoranza curda – oppressa in Iran – visitò Teheran con suo fratello. Fu fermata e arrestata dalla polizia iraniana della “moralità” (la gasht-e ershad), che regolarmente trattiene, e in modo del tutto arbitrario, le donne che non rispettano le leggi del Paese sul velo obbligatorio. Leggi agli occhi del mondo abusive e discriminatorie. Mahsa Amini morirà tre giorni dopo in ospedale, il 16 settembre 2022
Testimoni oculari dissero che la polizia la spinse su un furgone e la picchiò, portandola solo successivamente al centro di detenzione di Vozara, a Teheran. Le fu detto che era stata trasferita lì per un corso “educativo” volto a “riformare” il comportamento delle donne e delle ragazze che violano il rigido codice di abbigliamento islamico del Paese. Ma alcune ore dopo, emersero notizie terribili.
La polizia morale l’aveva infatti sottoposta a torture e ad altri maltrattamenti all’interno di quel maledetto furgone, tanto che Mahsa Amini entrò in coma e fu trasferita in ambulanza all’ospedale Kasra di Teheran.
Il 16 settembre Mahsa Amini morì. Aveva solo 22 anni.
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Masha Jina Amini was arrested on 13 September 2022 by the religious police in the Iranian capital due to failure to comply with the law on compulsory veiling.#WomanLifeFreedom #iran #mahsaamini pic.twitter.com/yJolSuHm1z
— Gianluca Costantini (@channeldraw) September 13, 2023
Cosa è successo a chi ha protestato?
Uccisioni illegali e uso della forza, arresti e detenzioni arbitrarie di massa, sparizioni forzate, tortura e altri maltrattamenti.
La morte di Mahsa Amini durante la detenzione ha sì scatenato la rivolta nazionale “Woman Life Freedom” contro decenni di disuguaglianze e repressione diffusa, ma le autorità iraniane hanno risposto con la forza e una violenza inaudita, anche sparando proiettili veri, pallini metallici e gas lacrimogeni contro una folla di manifestanti in gran parte pacifici.
Le forze di sicurezza hanno ucciso negli ultimi mesi centinaia di manifestanti, compresi bambini, mentre altre centinaia sono rimasti accecate dallo sparo di pallottole metalliche, altre riportato ferite gravi a causa dell’uso della forza. Temendo l’arresto e altre ritorsioni, molti non hanno cercato assistenza medica, mentre anche decine di migliaia di persone sono state arrestate arbitrariamente.
Durante la rivolta, i servizi segreti e le forze di sicurezza hanno inoltre commesso diffusi casi di tortura e altri maltrattamenti.
Tomorrow, September 16th, 2023, at 2pm in Sir Winston Churchill Square/City Hall there will be a gathering to mark the Anniversary of the killing of Masha Amini.#SayHerName #mashaamini#Edmonton pic.twitter.com/gG4SqMBuPU
— Michael Kalmanovitch (@MKalmanovitch) September 15, 2023
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Nell’ultimo anno, le autorità iraniane hanno utilizzato sempre più la pena di morte come strumento di repressione politica e per instillare paura nell’opinione pubblica. A seguito di processi farsa gravemente ingiusti, hanno giustiziato sette uomini in relazione alla rivolta.
I manifestanti non sono gli unici a maggior rischio di esecuzione a causa di questa spietata campagna per reprimere il dissenso. Le autorità hanno intensificato l’uso della pena di morte per reati legati alla droga e hanno anche giustiziato dissidenti politici. Stanno anche usando la pena di morte per prendere di mira i gruppi minoritari oppressi, compresi i Baluchi. E non solo: nell’arco di quest’anno, le autorità hanno giustiziato anche persone per i loro post sui social e per rapporti sessuali tra adulti consenzienti.
Arrestato anche il padre di Mahsa Amini
È stato arrestato anche Amjad Amini, padre di Mahsa Amini, dopo altri 7 arresti durante le proteste per cui è stata eseguita una condanna a morte. Tra le persone interrogate e detenute ci sono lo zio di Mahsa e l’avvocato della famiglia, Saleh Nikbakht, che dovrà affrontare un processo con l’accusa di aver diffuso ’propaganda’ durante le sue interviste con i media stranieri.
#MashaAmini #WomanLifeFreedom 🪁 pic.twitter.com/iVoQU7lsmN
— Roberta_Manganelli🦋 (@robimanga_) September 16, 2023
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Fonte: Amnesty International
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